Perchè leggere questo articolo? Anche Severgnini sul Corriere “scopre” l’esistenza di un esercito di poveri che lavorano nella Milano della Design Week. Non è una sorpresa. I dipendenti dei Musei civici sono in mobilitazione. Se del resto le gare delle istituzioni sono tutte impostate al massimo ribasso economico…
Beppe Severgnini “scopre” in occasione della Design Week l’esistenza di un esercito di lavoratori sottopagati. Queste le sue parole sul Corriere: “La città di Milano – la prua d’Italia, con qualsiasi mare – è capace di mobilitarsi per la Design Week, ma poi chiede a tanti giovani laureati di lavorare tutti il giorno per mille euro al mese. Chiamarli i ‘working poor’ è un modo per non sentire il dolore e la vergogna (l’inglese è un anestetico diffuso). Chiamiamoli col loro nome: poveri che lavorano. Sotto i nostri occhi indifferenti“.
Quello rivelato dall’imbiancato opinionista non può del resto essere considerato un segreto: basta grattare appena sotto la superficie della narrazione che accompagna Milano, i suoi successi, le sue “magnifiche sorti e progressive” per sapere che esiste una realtà vasta, sfaccettata e problematica, decisamente meno glamour.
Milano, la protesta dei dipendenti dei Musei civici: “Assunti da cooperative con contratti da fame”
A sottolineare il contrasto con quella che già viene raccontata come “edizione record” del Salone del Mobile, sono anche i rappresentanti della sigla sindacale Usb, impegnati in una battaglia a sostegno dei lavoratori dei Musei civici milanesi. Questa la nota diffusa oggi: “Chiude il Fuorisalone con la messa a profitto degli spazi pubblici della città, i lavoratori esternalizzati dei Musei in sciopero si riprendono lo spazio e il tempo della pausa pranzo che viene costantemente negato sul luogo di lavoro. Dopo più di due ore di assemblea pubblica congiunta tra operatori di sala e biglietterie l’obiettivo per chi lavora nei Musei Civici di Milano è chiaro: ridare dignità al proprio lavoro”
I lavoratori si sono mobilitati questo fine settimana chiedendo tra le altre cose il giusto livello di inquadramento. E denunciando un modello di città che ha portato a privatizzare “spazi e servizi pubblici a scapito di lavoratori e cittadini, fino a non rendersi disponibile al confronto su come sia impossibile vivere e lavorare a Milano”.
Alla vigilia della mobilitazione, i sindacati avevano chiarito, parlando di Salone e Fuori Salone, che “il primo degli eventi vetrina che animano la primavera milanese è paradigmatico del modello di turismo, ma anche di città, che il Comune promuove, con la messa al servizio degli spazi pubblici, dalle università alle sedi museali, per l’interesse di privati (non c’è bisogno di fare qui l’elenco delle installazioni pubblicitarie sparse per tutta la città). È questa l’altra faccia della medaglia delle continue esternalizzazioni dei lavoratori del settore culturale, assunti da cooperative con contratti da fame, come il Multiservizi, nonostante il servizio pubblico, e dipendente dall’amministrazione pubblica, che svolgono”.
Se i Comuni impostano gare al massimo ribasso…
Queste ultime considerazioni ci riportano dalla parti di quel cortocircuito che già in precedenza True News ha cercato di sottolineare. Perchè sono magari le stesse amministrazioni comunali a ingaggiare battaglie come quella per il salario minimo garantito. Sacrosante e meritorie nelle intenzioni. Ma se sono poi quegli stessi enti comunali a mantenere come principale criterio nelle proprie gare il massimo ribasso economico, su cosa potranno andare a limare società, imprese, cooperative per formulare una proposta competitiva? Ovviamente sul costo della forza lavoro…