I produttori giurano che non vi sarà una seconda stagione: è stata quindi “Shogun” la serie capace di andare “oltre la serie”, ovvero oltre il linguaggio, gli stilemi – e i difetti – della serialità?
Ci sembra proprio di sì. Sia chiaro: ci sono già molti punti per la quale questo prodotto spicca ben al di sopra della media. Non solo per le interpretazioni (moltissime sono le serie divinamente recitate, da Narcos a Gomorra sino al monumentale Trono di Spade), ma anche per la cura maniacale dei costumi, delle ambientazioni, dello studio stesso della filosofia e della cultura giapponese a ridosso del XVII secolo.
“Shogun” e il dialogo tra Oriente e Occidente
Una simile attenzione al dettaglio storico, al cinema e in TV, è merce rarissima e gioia per gli occhi. La critica e il pubblico hanno applaudito Shogun, disponibile su piattaforma Dinsey+, per la capacità di mettere in dialogo Oriente e Occidente facendo parlare (dialogare, parlare: verbi oggi troppo raramente coniugati quando si parla di culture diverse!) le due storie, le due spiritualità, le due visioni del mondo. L’Oriente estremo viene filtrato attraverso gli occhi di un marinaio britannico che intraprende un doloroso percorso di scoperta e accettazione di un mondo che gli sembra assurdo, feroce, brutale (e che lo ricambia dandogli del barbaro), ma del quale scoprirà la nobiltà, il senso di lealtà, la bellezza.
Lo farà attraversandone le contraddizioni – lui, protestante, scoprirà che nel Giappone di quell’epoca c’è parecchio Occidente, ma quello che a lui non piace, quello cattolico! – e i sentimenti. Ovviamente parliamo dell’amore per una donna straordinaria, Mariko, un personaggio che – a differenza di quanto in questi giorni si legge – non può essere il vero protagonista perché è un “superagonista” sovraumano per forza, determinazione, onniscienza.
Una fiaba senza magia
Qui sta il vero punto innovativo, a nostro avviso: nella narrazione. I personaggi onniscienti, privi di evoluzione e “cammino” non hanno molto senso se non nelle fiabe per l’infanzia (dove guarda caso sono spesso “aiutanti magici femminili” per l’eroe). Della fiaba, questa storia ha tutto meno la magia: è un grande percorso iniziatico.
Shogun non è la classica serie: non indugia nei mezzucci dell’intrattenimento spiccio, nell’intrigo, nella violenza e nel sesso. Ci prende per mano, ci accompagna con i suoi personaggi, ci fa vedere il mondo coi loro occhi. Che il Grande Monarca “buono e spietato, severo ma giusto” Toronaga avesse un piano segreto era chiaro almeno da metà della serie (e le donne, sempre le donne vedono tutto con lucidità, sia la “martire” Mariko che la Maitresse della casa di piacere): non è sulla facile suspence che si gioca il tutto. No: questo prodotto è una storia di storie, di personaggi miseri, umani, sovraumani (Mariko e Toronaga) e del vero eroe, il marinaio britannico, il personaggio che evolve e cresce dallo spaesamento alla maturità.
Della suspence e dell’intrigo, alla fine, agli ideatori del progetto importa il giusto. Rompono la noiosa regola dello “show-don’t-tell” nella puntata finale: il – televisivamente – lungo dialogo tra Toronaga e il suo vassallo condannato, tra il vivo e il morto, è un testamento finale dove viene rivelato quanto in fondo già sapevamo e viene persino rivelato quanto accadrà in futuro.
“Shogun” è un film lungo come una serie
Shogun è dunque un prodotto capace di rompere gli schemi, di raccontarci la storia che vuole dall’inizio alla fine, senza troppi infingimenti, limitando al minimo l’invenzione di sottotrame e trame artificiose che hanno il solo scopo di allungare il brodo (come abbiamo visto, troppe volte, anche con grandissimi prodotti come quelli sopra menzionati).
Speriamo dunque che non serva “inventare” altre stagioni: sarebbe un’inutile contraddizione. Se la vicenda fosse quella anticipata nel dialogo finale, basterebbe un film con una battaglia, ma in realtà è come se la serie fosse finita alla nona puntata delle dieci: sublime il dialogo tra Mariko e il marito durante la cerimonia del the, un momento di altissimo cinema e recitazione, un sublime omaggio alla cultura giapponese e ai sentimenti alla base di qualsiasi coppia, e commovente il commiato tra Mariko e il Padre Confessore (tocca davvero il cuore di ogni credente).
Shogun è bello così, è completo così, è efficace così: è un film lungo, è la serie che rinuncia agli elementi scontati del linguaggio delle serie. Se chi l’ha pensata e prodotta voleva innovare, ci è riuscito meravigliosamente.