Svolta a sorpresa in Fondazione Crt, terza degli enti legati alle vecchie casse di risparmio per dimensione in Italia dopo Cariplo e Compagnia di San Paolo: le dimissioni di Fabrizio Palenzona terremotano un’istituzione importante, socia di Generali e Unicredit. L’ex vicepresidente e regista della nascita della banca di Piazza Gae Aulenti, già manager di Aiscat e delle società dei Benetton nonché presidente di Prelios, la società che gestisce performing loans e real estate di recente acquisita da Andrea Pignataro, era alla guida di Crt da solo un anno.
Palenzona respinto da Guzzetti e Bazoli
Un anno focalizzato, in forma pressoché piena, su un grande obiettivo: portare per la prima volta Crt, dunque le fondazioni della “cordata” di Unicredit, ai vertici dell’Acri, l’Associazione delle Casse di Risparmio Italiane, con un potere d’influenza su Cassa Depositi e Prestiti. Assalto respinto al mittente dai dioscuri Giuseppe Guzzetti e Giovanni Bazoli, che con la regia di Cariplo ne hanno elevato alla guida dell’Acri il presidente, Giuseppe Azzone, già rettore del Politecnico. Uno smacco non da poco per Palenzona. Il quale ha delegato la gestione dell’attività ordinaria soprattutto al segretario Andrea Varese e al fedelissimo Roberto Mercuri mentre si teneva, spesso, distante da Torino.
Palenzona si è esposto molto. Ha cercato di disarcionare da Unicredit il vicepresidente Lamberto Andreotti (figlio di un certo Giulio) e di muoversi in autonomia per far aumentare il peso di Crt in F2i. Finendo in entrambi i casi respinto al mittente. Ha, in sostanza, giocato molto fuori da Torino e poco in casa. O meglio, nella casa della fondazione: Palenzona è di Alessandria e rumors riportati da Dagospia parlano di un’insofferenza dei vertici torinesi della finanza e della politica per il “Papa straniero”. Tanto che nella giornata delle dimissioni il presidente della Regione Alberto Cirio e il sindaco Stefano Lo Russo si sono incontrati per capire che ne sarà di Crt e individuare un nome ideale per la successione.
Il papa straniero Palenzona
“Non che fino a ieri la Fondazione fosse governata da torinesi”, ha fatto notare causticamente La Stampa. Ricordando che Giovanni Quaglia, predecessore di Palenzona, è uno dei massimi esponenti della democristianità cuneese. Ma è arrivato a Torino in punta di piedi, facendosi accettare e imparando a dialogare con i salotti che contano in città. Non ha dichiarato, come Palenzona, che «la Fondazione deve prestare più attenzione ai territori, essere meno torinocentrica»”, ha scritto nell’interessante pezzo Paolo Griseri. Ricordando che “anche quello del papa straniero è un mestiere difficile”. Specie in una città come Torino ove Bruno Babando, direttore de Lo Spiffero e nostro Virgilio sotto la Mole, ci ricorda valere la legge della vecchia città di corte. Abituata a obbedire sì, ma ai sovrani che si leghino alla città. Da qui il doppio scotto torinese per l’addio dei Savoia prima e degli Agnelli poi. E anche la chiusura a riccio su Crt, evidentemente.
Un torinese dopo Palenzona?
E proprio Babando sulla sua testata offre una lucida lettura del fatto che Cirio e Lo Russo avranno un mese per proporre al “parlamentino” di 21 membri della Fondazione Crt una candidatura unitaria per succedere a Palenzona: Babando nota come “sia imprescindibile una figura in grado di fornire autorevolezza, essere estraneo alle ultime vicende che hanno rischiato di trasformare il Palazzo Perrone in un saloon e, possibilmente, che sia un torinese”.
In sostanza, “dopo il cuneese Giovanni Quaglia e il mandrogno Palenzona, non è solo l’orgoglio campanilistico a suggerire l’opportunità di ricondurre sotto la Mole la scelta del futuro numero uno. I segnali degli stakeholder in tale senso sono sempre più chiari e pressanti”. Torino ha lasciato la guida dell’Acri con l’uscita di Francesco Profumo, ex presidente della Compagnia di San Paolo. Ora l’obiettivo è riallineare sotto la Mole, chiudendosi a riccio, i due poli finanziari della città. Quello che punta a Intesa, la Compagnia di San Paolo, è blindata con Marco Gilli. Ora per Crt si fa strada il nome di Michele Vietti. Ex magistrato, figura compassata e di puro taglio istituzionale. Forse meno genialmente creativa ma anche meno impulsiva di Palenzona. Che da Papa straniero ha finito per essere un pontefice di transizione.