Ha fatto scalpore nei giorni scorsi la notizia del ritrovamento di dosi di fentanyl in carichi di eroina sequestrati al giro del narcotraffico in Italia. L’Istituto Superiore di Sanità ha confermato che questa droga, un oppioide 80 volte più potente della morfina, è presente sul suolo nazionale. Non c’è da stupirsi. Il fentanyl è la droga del decennio, perlomeno negli Usa. La sua preparazione è legata a una complessa “catena del valore” che unisce criminalità dell’Estremo Oriente e cartelli di Colombia e, soprattutto, Messico. Il fentanyl ha amplificato e rafforzato la crisi degli oppioidi e delle morti da overdose che in America ha proporzioni epidemiche. Oltre un milione, negli States, i morti per overdose nell’ultimo quarto di secolo. Un numero superiore di 143 volte ai caduti americani in Afghanistan e Iraq.
Fentanyl, il massacro americano è lontano un oceano
Ogni anno, in America, muoiono quattro volte più persone per overdose di quante ne siano morte in Italia negli ultimi quarant’anni. Per inciso, i decessi sono scesi del 51% dal 2007 al 2022 e, stando alle ultime rilevazioni erano 298 nel 2022. Il fentanyl potenzialmente può peggiorare le statistiche. Ma l’allerta non deve necessariamente diventare allarme. Ci sono casi di arresti per traffico di fentanyl andati in scena a Piacenza nel novembre scorso e c’è la certezza che la ‘ndrangheta stia lavorando a importare la droga in Italia. Ma anche almeno tre fattori che invitano a pensare che l’Italia abbia gli anticorpi per resistere.
In primo luogo, il governo Meloni ha il 12 marzo promosso il primo Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di Fentanyl, in capo a Alfredo Mantovano, Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti. E figura chiave per coordinare gli strumenti di contrasto e repressione. Essersi dotati di un piano consolida le mosse di chi nella magistratura, come Nicola Gratteri, da tempo applica al traffico di fentanyl le rigide norme anti-narcotraffico del Paese.
La capacità di gestione del sistema
Il secondo fronte è legato alla notevole esperienza delle forze dell’ordine e della magistratura nella lotta al narcotraffico e soprattutto alle catene del valore della droga globale. In quest’ottica, esiste anche un dato geografico: il fentanyl, come si è spiegato, ha una filiera di produzione chiara e per i trafficanti attraversare l’Atlantico impone un surplus di rischio.
Ma il vero, terzo e decisivo fattore che fa da argine al fentanyl si chiama…Stato sociale! La pandemia da oppioidi in America nasce innanzitutto dal combinato disposto tra disperazione e povertà. Ovvero dalla carenza di reti sociali che porta all’abuso di farmaci come lenitivo dell’impossibilità di curare molte malattie con terapie adatte o per sopravvivere in una società competitiva, individualista e disfunzionale per gli scartati. Con tutti i suoi limiti, la combo tra Servizio Sanitario Nazionale e rete di welfare aiuta a evitare cadute su entrambi i fronti.
L’Italia ha anticorpi contro il fentanyl
“Negli Stati Uniti si è diffuso sia perché sostanze come il fentanyl vengono prescritte dai medici per trattare i dolori e i pazienti hanno sviluppato una dipendenza, sia perché la diffusione di laboratori clandestini hanno permesso la diffusione di questa sostanza con prezzi più economici rispetto all’eroina”, ha scritto La Via Libera. Aggiungendo: “Anche i casi giudiziari sono pochissimi, molto rari. lavialibera ne ha censiti quattro, di cui due legati alla stessa persona, un giardiniere di Bologna: già condannato in via definitiva a quattro anni per l’acquisto di 7 gr di sostanza, e poi coinvolto in un’altra indagine, al termine della quale ha patteggiato”.
L’Italia ha dunque validi anticorpi. Anni di esperienza contro la criminalità possono fare scuola. Ma soprattutto la fortuna di vivere in una società che, con tutte le sue fragilità, resta tale. E non un arcipelago di sradicamento individuale. Con conseguente disperazione.