Piaccia o meno, il 2024 ha dato l’attestazione definitiva sul fatto che la guerra russo-ucraina è improbabile possa finire col pieno e definitivo successo ucraino sul campo. Quantificabile in un chiaro obiettivo, quello che tuttora il presidente Volodymr Zelensky indica come il solo esito possibile: il ripristino dell’Ucraina nei confini del 1991. O anche di inizio 2014, prima che la rivolta di Euromaidan aprisse la strada alla rivalità con la Russia, alla secessione indotta del Donbass, all’annessione della Crimea a Mosca. Da ultimo, alla guerra su larga scala iniziata nel 2022.
La sfida dell’Ucraina
Per due anni l’Ucraina si è difesa e ha preso posizione per proteggere il territorio invaso. Ma, ammesso che l’obiettivo sia mai stato quello, da circa un anno l’Occidente ha rinunciato di fatto alla volontà di sostenere Kiev fino alla vittoria. Solo pochi Paesi, come Regno Unito e Polonia, hanno pensato davvero alla dottrina della “guerra per procura” a Mosca. Francia, Germania e, soprattutto, Stati Uniti hanno, tutti a loro modo, centellinato il loro sostegno.
Emblematici, in tal senso, i continui avvertimenti americani: armi si, ma con condizioni. Carri armati? Una manciata. I caccia F-16? Arriveranno, si dice da un anno. L’artiglieria a lungo raggio? Sì, ma solo per bombardare esclusivamente…il proprio territorio. L’Ucraina è diventata l’unica nazione invasa della storia a ricevere armamenti a condizione di usarli unicamente sul suo suolo. Vincere militarmente la guerra è diventato pressoché impossibile, e nonostante una retorica diversa, alimentata da leader come Emmanuel Macron, ora a prevalere è la difficoltà di trovare una via d’uscita con la Russia.
La guerra in bilico
Mosca ha molti problemi, dall’impatto delle sanzioni alle carenze tecnologiche. Ma da quando la Russia ha spostato sulla guerra di logoramento il confronto in un anno sta macinando risultati. La caduta di Bakhmut, quella di Avdiivka e la possibile conquista di Chasiv Yar possono definirsi come l’avvicinamento a un concetto di vittoria tattica che, per Mosca, oggi coinciderebbe con la messa in sicurezza degli oblast contesi. Tutto questo anche, se non soprattutto, per un dato di fatto: all’Occidente, Usa in testa, interessava indebolire la Russia. Non sconfiggerla sul campo creando rischi di escalation securitarie più pericolose.
Quello dell’Ucraina è un lento logoramento graduale: “Già a novembre, una valutazione militare statunitense, poiché gli aiuti finanziari avevano già cominciato a prosciugarsi l’estate scorsa, affermava che l’Ucraina avrebbe esaurito i missili a lungo raggio nel primo mese di quest’anno, poi i missili di difesa aerea a febbraio o marzo, e avrebbe finito rimanere senza i proiettili di artiglieria cruciali entro l’estate. Le prime due di queste previsioni si sono già avverate mentre la crisi delle munizioni in Ucraina peggiora rapidamente”, nota il canale bneIntellinews.
Ucraina al bivio
Zelensky ci ha messo del suo silurando Valerij Zaluzhny, comandante dell’esercito nella fase eroica della resistenza e della prima controffensiva, generale attendo a centellinare mezzi e, soprattutto, uomini. Il suo capo di gabinetto Andreij Yermak, nota Politico.eu, ha di recente poi preso atto del calo di popolarità della causa della guerra nella popolazione e ribadito “ una ragione importante – e forse sorprendente per gli osservatori esterni – per non lanciare una mobilitazione di massa : una simile convocazione non avrebbe il sostegno della gente”.
Serve ora trovare una soluzione che impedisca una vittoria strategica russa, con la caduta di Kharkiv, Dnipro o altre grandi città-simbolo, garantisca un futuro per l’Ucraina e salvi la faccia di un Occidente che nei fatti, più che a parole, ha gradualmente disimpegnato sé stesso dall’Ucraina. Paese per cui si dovrà, prima o poi, aprire la partita, costosa, della ricostruzione, mentre la popolazione è scesa sotto i 30 milioni di abitanti. Trovare una via d’accesso politica a un ragionamento serio sul futuro del Paese è l’unica soluzione politica per pensare a un’Ucraina capace di esistere nel dopoguerra. “Il coraggio del negoziato” di Papa Francesco appare oggi l’unica via per non condannare Kiev alla sconfitta. Altre soluzioni non si intravedono.