Home Politics Ancora indagato il generale Mori. Ma la storia non si fa nelle procure

Ancora indagato il generale Mori. Ma la storia non si fa nelle procure

Ancora indagato il generale Mori. Ma la storia non si fa nelle procure

Alla veneranda età di 85 anni il generale Mario Mori, fondatore del Ros dei Carabinieri e già direttore del Sisde, il servizio segreto anticipatore dell’attuale Aisi, è nuovamente indagato per il torbido periodo che risale agli anni dell’escalation stragista mafiosa contro lo Stato.

Mori, generale sempre assolto

Mori sta vivendo l’ennesimo strascico della sua lunga carriera nelle forze armate e del suo percorso nella lotta alla Mafia. Già assolto per la trattativa Stato-Mafia dopo una lunga querelle legale che ha visto condannato in primo grado, assolto in appello e scagionato in Cassazione, il generale e “padre” dei Ros è stato anche assolto per il caso della mancata perquisizione, dopo l’arresto del “Capo dei Capi”, del covo Totò Riina e per il presunto favoreggiamento di Bernardo Provenzano.

Ora si trova di fronte all’ennesimo processo, quello promosso dalla procura di Firenze per non aver, secondo l’accusa, agito per frenare l’escalation stragista della Mafia nel 1993-1994, sostanziatasi negli attentati dinamitardi come quello di Via dei Georgofili della città gigliata. Secondo un fascicolo della Procura Mori, il cui interrogatorio di ieri è stato secretato, avrebbe avuto notizia delle azioni della Mafia “dal maresciallo Roberto Tempesta e da Angelo Siino”, quest’ultimo mafioso arrestato nel quadro dell’inchiesta Mafia-Appalti scomparso nel 2021 dopo esser divenuto collaboratore di giustizia.

La storia si fa negli archivi

Sia ben chiaro, le inchieste si rispettano e vanno capite, ma gli addebiti a Mori sembrano l’ennesima storia già scritta. Quella di un filone giudiziario che attraverso prove de relato, insinuazioni, voci cerca di costruire una verità diversa da storie in cui i torbidi ci sono e restano, ma vanno circostanziati a un’epoca di emergenza.

La vaghezza delle accuse è dimostrabile da un estratto dell’atto sottolineato da Tiziana Maiolo su Il Riformista: Mori, secondo la Procura, “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni”. Un’accusa che per ampiezza di prospettive coperte sembra voler riproporre l’impianto smontato in sede giudiziaria già ai tempi del processo della Trattativa. Ovvero supporre che settori dello Stato abbiano, in qualche modo, dato un assist, anche involontario, a Cosa Nostra con le loro scelte o, nell’accusa di Mori, anche con le loro negligenze. La storia è più complessa, fortunatamente. E non si fa nelle procure. Ma negli archivi. Dalla cui apertura dovremo attenderci le vere risposte.