Perché questo articolo potrebbe interessarti? La decisione dell’Ue di colpire le auto elettriche cinesi con dazi fino al 38% rischia di spaccare il continente. E non solo perché questa mossa rischia di mettere ulteriormente in risalto una politica industriale confusionaria, ma anche perché non tutti i Paesi membri sono d’accordo. Se, infatti, la Francia appare favorevole alla linea dura, dall’altro lato c’è chi, come la Germania, vorrebbe evitare una guerra commerciale con Pechino. Ambigua la posizione dell’Italia.
Il pugno duro dell’Unione europea contro le auto elettriche made in China ha creato le prime crepe all’interno del continente. Non tutti i Paesi membri, infatti, hanno dato l’impressione di voler intraprendere questa strada correndo il rischio di affrontare una guerra commerciale contro la Cina. Le prime critiche contro la decisione della Commissione europea di attuare dazi compresi tra il 17,4% e il 38,1% – oltre al dazio di importazione esistente del 10% – sugli EV cinesi sono arrivate da Germania, Ungheria e Svezia. La Francia è invece una fautrice della linea dura mentre l’Italia ha ufficialmente accolto di buon grado la mossa di Bruxelles senza tuttavia calcare troppo la mano.
La posizione dell’Italia sulle auto elettriche cinesi
A proposito dell’Italia, fino a poche settimane fa sembrava che il Belpaese fosse pronto ad accogliere sul proprio territorio le fabbriche di una o più aziende automobilistiche cinesi per ridare slancio al settore delle quattro ruote. Erano circolati i nomi di Chery Auto, poi finita a Barcellona, di BYD, che può già contare su una gigafactory work in progress in Ungheria, e pure di Dongfeng. Alla fine tutte queste indiscrezioni sono rimaste tali.
Non solo: il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha salutato con soddisfazione l’annuncio della Commissione europea sui dazi all’ingresso delle auto elettriche cinesi in Europa per tutelare la produzione automobilistica del continente. Il governo Meloni sembrerebbe dunque essere favorevole al pugno duro contro gli EV (Electric Vehicle) di Pechino “in conformità alle regole del WTO” e a tutela “delle condizioni di concorrenza leale”.
L’intenzione di Roma? Riaffermare l’industria automobilistica in Italia. C’è solo da capire in che modo, visto che l’obiettivo prefissato dall’esecutivo coincideva con la realizzazione di 1,4 milioni di veicoli all’anno (nel 2023 le fabbriche del Belpaese hanno realizzato circa 750mila mezzi, contando automobili e furgoni). Scartata l’ipotesi di creare sinergie con i colossi cinesi, all’Italia non resta che esplorare non meglio specificate strade alternative.
Francia vs Germania (più Ungheria e Svezia)
La Francia – che in patria ha attuato una misura per escludere i veicoli elettrici cinesi dagli incentivi statali per il loro acquisto – intende tutelare l’industria nazionale blindando il continente dalla pioggia di EV made in China prevista da qui ai prossimi anni. Sulla stessa linea d’onda di Parigi, seppur con toni e interessi decisamente ridotti, troviamo la citata Italia e la Spagna.
Dall’altra parte della barricata troviamo un trittico formato da Germania, Ungheria e Svezia. Berlino teme, non solo la reazione di Pechino, ma anche che le tariffe sull’import di auto elettriche costruite in Cina vadano a colpire i marchi europei. Da Volkswagen a BMW, passando per Mercedes, sono infatti numerosi i brand del Vecchio Continente che producono gran parte dei loro EV oltre la Muraglia.
Stoccolma e Budapest condividono le stesse preoccupazioni dei tedeschi. Il Paese scandinavo è del resto sede di Volvo, un’eccellenza nazionale controllata dalla società cinese Geely, e non vuole tensioni con il Dragone. Per il governo ungherese, invece, basta dare un’occhiata ai dati: nel 2023 l’Ungheria, da sola, ha calamitato il 44% di tutti gli investimenti diretti esteri cinesi in Europa (più di Francia, Germania e Regno Unito messi insieme) e per questo si oppone alla “brutale punizione europea dei produttori cinesi di auto elettriche con tariffe punitive”.
Il nodo della politica industriale europea
La politica va in una direzione, la maggior parte delle aziende dell’automotive in quella opposta. Già, perché le più importanti case automobilistiche operative nel continente si sono già più o meno apertamente schierate contro i dazi. Stellantis, per esempio, ha fatto sapere di credere nella “concorrenza libera” e di “non sostenere misure che contribuiscono alla frammentazione del mondo”.
Dulcis in fundo, i dazi dimostrano l’enorme confusione che avvolge la politica industriale dell’Ue. Bruxelles, infatti, ha a lungo erogato fondi per incentivare il passaggio alla mobilità elettrica, nella maggior parte dei casi senza considerare la provenienza dell’auto. Adesso tutto questo andrà a braccetto con la proposta della Commissione di colpire con tariffe al vetriolo auto elettriche (non solo cinesi ma tutte quelle made in China) che dovrebbero in teoria contribuire alla suddetta mission green.