Il 19 giugno la Camera ha approvato in via definitiva l’autonomia differenziata. Nota anche come Disegno di Legge “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” (AC 1665)”, il provvedimento è stato presentato dal ministro per gli Affari Regionali, Roberto Calderoli, e ha ottenuto 172 voti favorevoli, 99 contrari e 1 astenuto. Secondo i promotori, l’obiettivo è concedere maggiori poteri e autonomia alle Regioni a statuto ordinario che ne faranno richiesta. Poteri che impatteranno anche sull’ambito sanitario.
La nuova autonomia
Il disegno di legge mira a definire le procedure legislative e amministrative per raggiungere un’intesa tra lo Stato e le Regioni desiderose di ottenere ulteriori autonomie. L’attribuzione di queste funzioni è vincolata alla determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), che garantiscono l’effettività dei diritti su tutto il territorio nazionale. Questo passaggio è cruciale per assicurare che le autonomie regionali non compromettano la qualità e l’uniformità dei servizi essenziali.
Cosa cambia in ambito sanitario
Uno dei settori più rilevanti coinvolti dall’autonomia differenziata è la sanità. La sanità pubblica in Italia è già gestita a livello regionale, ma l’autonomia differenziata potrebbe ampliare ulteriormente le competenze delle Regioni, consentendo loro di personalizzare e migliorare i servizi sanitari in base alle esigenze locali.
Ecco alcune delle conseguenze che, secondo i sostenitori della legge, potrebbero scaturire dalla sua approvazione
- Adattamento alle specificità locali: Le Regioni potrebbero sviluppare piani sanitari su misura per le proprie popolazioni, considerando fattori demografici, epidemiologici e socio-economici specifici.
- Innovazione ed efficienza: L’autonomia potrebbe stimolare l’innovazione e l’efficienza, riducendo la burocrazia e migliorando la gestione delle risorse.
- Migliore gestione delle emergenze sanitarie: Una maggiore autonomia permetterebbe alle Regioni di rispondere più rapidamente e efficacemente alle emergenze sanitarie, come dimostrato durante la pandemia di COVID-19.
A questi aspetti, i detrattori delle modifiche (prevalentemente appartenenti alle regioni meridionali) contrappongono questi possibili effetti indesiderati:
- Disparità regionali: Una delle principali preoccupazioni è il rischio di accentuare le disparità tra le Regioni più ricche e quelle più povere. L’autonomia differenziata potrebbe portare a differenze significative nella qualità dei servizi sanitari offerti.
- Equità di accesso ai servizi: Garantire che tutti i cittadini abbiano accesso a livelli essenziali di assistenza sanitaria è fondamentale. Le LEP devono essere monitorate e rispettate per evitare che l’autonomia crei disuguaglianze.
- Risorse finanziarie: La distribuzione delle risorse finanziarie sarà cruciale. Il trasferimento delle funzioni dovrà essere accompagnato da adeguati finanziamenti per evitare di sovraccaricare le finanze regionali.
Il Ddl nei dettagli
L’articolato del disegno di legge stabilisce che le Regioni, dopo aver consultato gli enti locali, possano richiedere l’attribuzione di ulteriori autonomie, che saranno negoziate con lo Stato. Il Consiglio dei Ministri approverà gli accordi preliminari, che saranno poi esaminati dal Parlamento. L’articolo 3 del disegno di legge prevede che i LEP siano determinati per diverse materie, tra cui la tutela della salute, un elemento centrale per la sanità.
Il trasferimento delle funzioni sarà accompagnato dal trasferimento delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie, come stabilito dall’articolo 4. Questo processo dovrà essere attentamente monitorato per assicurare che i LEP siano rispettati e che le risorse siano utilizzate in modo efficiente.