Home Economy L’industria musicale sta sbagliando tutto anche con i concerti?

L’industria musicale sta sbagliando tutto anche con i concerti?

L’industria musicale sta sbagliando tutto anche con i concerti?

Perchè leggere questo articolo? Sono diversi in tutto il mondo gruppi e artisti che stanno bruscamente ridimensionando i loro tour estivi negli stadi. Prezzi dei biglietti alle stelle, strategie promozionali miopi, la fine dell’euforia post-Covid. L’industria musicale è di nuovo a un bivio

In Italia è capitato recentemente ai Negramaro, la cui data allo stadio Maradona di Napoli è stata raccontata come “sold out” anche se il tutto esaurito, come spiegato da Grazia Sambruna su Mowmag, non c’è stato per nulla. Ma quello delle arene estive semi-vuote è uno spettro che sta agitando i sonni di agenti e promoter di tutto il mondo.

I Black Keys cancellano il tour estivo, JLo riduce le date, i Pearl Jam dimezzano i prezzi dei biglietti…

Un fenomeno internazionale sul quale si stanno interrogando gli esperti del settore e con diverse vittime illustri a livello globale. I Black Keys, ad esempio, hanno cancellato tutte le date del loro tour estivo negli stadi del Nord America, annunciando nuovi appuntamenti che consentiranno di “offrire un’esperienza altrettanto emozionante e intima sia per i fan che per la band”. Ovvero: location più piccole.

Jennifer Lopez ha cancellato sette date del suo tour estivo, che ha anche dovuto rinominare ponendo l’enfasi non più sul suo nuovo album ma sulle sue vecchie hit. Non stanno andando meglio le cose per Justin Timberlake. I fan inglesi dei Pearl Jam sono invece rimasti di sasso quando LiveNation ha iniziato a vendere alla metà del prezzo i biglietti per la loro data londinese. Un tentativo in extremis per riempire lo stadio del Tottenham che è suonato come una beffa per chi aveva pagato il ticket a prezzo pieno. Altri nomi, magari meno noti in Italia ma con grandi seguiti in altre parti del mondo, stanno ugualmente arrancando. Kacey Musgraves. AJR, Charli XCX con Troye Sivan, Porter Robinson per menzionarne alcuni.

Stadi semi-vuoti: colpa dei biglietti troppo cari? Sì, ma non solo

“Benvenuti nell’estate dei tour negli stadi che misteriosamente falliscono”, commenta un’inchiesta di Stereogum che analizza nel dettaglio il fenomeno. C’entrano i prezzi insensatamente alti dei biglietti? Naturalmente sì. Ma questi giungono a valle di strategie commerciali più complesse di una industria che pare aver progressivamente perso il contatto con la realtà del pubblico dei concerti.

Un agente di booking interpellato ha spiegato: “Live Nation deve riempire queste grandi venues, quindi fanno offerte aggressive che agenti e manager accettano. A questo punto diventa difficile tornare indietro. Se hai fatto tour negli stadi prima, è molto difficile fare un passo indietro e guadagnare meno soldi con un tour più piccolo. Nessuno vuole presentare tale prospettiva a un manager o a una band”.

Ed ancora: “La verità è che quando un grande promotore ha un accordo per una determinata location, poi deve fare i concerti in quella location. E cercare di guadagnare quanto più possibile dai costi accessori”. Oltre che dai biglietti, naturalmente.

Ma la materia prima, ovvero artisti di indiscussa grandezza in grado di riempire gli stadi, non è inesauribile. Ci sono unicorni come Taylor Swift ed i grandi dinosauri del rock, in grado di garantire sold out a colpo (quasi) sicuro. Ma non sono legioni e non possono essere in tour permanente. E allora ecco promoter e agenti puntare su nomi più rischiosi. Affidandosi a strategie creative per accrescerne l’appetibilità. E poco importa che poi la creatività si riduca a due o tre strategemmi sempre uguali: l’accumulazione (abbinare artisti con qualche vaga attinenza artistica) l’effetto nostalgia (reunion, tour di anniversario dell’album di maggiore successo), l’effetto FOMO (tour di addio).

Non siamo più nel post-Covid. E i numeri di Spotify a volte ingannano

Non sempre il gioco, come visto, funziona. Un azzardo, i cui rischi aumentano per via di una lettura falsata dei dati a disposizione dell’industria. In primo luogo, è come se si stesse tentando di far durare all’infinito quel momento magico del post Covid, quando dopo un anno passato da reclusi in casa e con prospettive ancora incerte sul futuro, la popolazione mondiale ha celebrato catarticamente la fine del lockdown riversandosi in massa ai grandi eventi. Quella disponibilità (di spirito ed economica) non c’è più. Ma l’industria finge di non vederlo.

Punto numero due: valutare l’appeal di un artista in base ai suoi numeri su Youtube o Spotify a volte può essere un clamoroso autogol. Grandi numeri sui social non necessariamente corrispondono a stadi pieni: “Ci sono molti ascoltatori passivi. Puoi avere milioni e milioni di stream, ma ciò non significa che si trasformeranno in biglietti. Al contrario, ci sono alcuni artisti che non hanno molti ascolti e possono vendere circa 2mila – 3mila biglietti”, ha spiegato una fonte a Stereogum.

E questa sembra davvero l’ultima beffa dello streaming, già “responsabile” di aver stravolto gli equilibri dell’industria discografica rendendo irrisori i guadagni della vendita degli album. E costringendo artisti e addetti ai lavori a capitalizzare quanto più possibile dai live. Ora anche questa fonte di guadagno, per quello che pare un eccesso di avidità, pare mostrare la corda. What’s next?