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Presidenziali in Iran, al voto tra censura, boicottaggi e disillusione

Presidenziali in Iran, al voto tra censura, boicottaggi e disillusione

Perchè leggere questo articolo? Il Governo dell’Iran guidato da Khamenei intensifica la repressione mediatica in vista del ballottaggio per scegliere il successore del presidente Raisi. La popolazione, sempre più delusa e disillusa, grida al boicottaggio elettorale. La scelta, non entusiasmante, è tra l’ultra conservatore Jalili, vicino al leader supremo, ed il riformista Pezeshkian. Che ha i suoi scheletri nell’armadio…

Sono giorni caldi, questi, per la politica internazionale. Oggi si vota nel Regno Unito. Mentre domani, venerdì 5 luglio, sarà l’Iran a recarsi alle urne. Il conservatore radicale Saeed Jalili, vicino al leader supremo Khamenei, e il moderato Masoud Pezeshkian, sostenuto dai riformisti ma visto con scetticismo da molti elettori, si confronteranno nel ballottaggio presidenziale. Un appuntamento elettorale che rappresenta un test non solo per i due candidati, ma per l’intero sistema politico iraniano, che lotta per mantenere una parvenza di legittimità e controllo.

Secondo i dati ufficiali pubblicati dal Ministero degli Interni iraniano, il primo turno del 28 luglio ha registrato un’affluenza alle urne del 39,92%. Si tratta del livello più basso registrato dalla fondazione della Repubblica islamica nel 1979. Un astensionismo importante che riflette una profonda crisi di legittimità del regime. Anche i tentativi del governo di gestire le elezioni, controllando media e stampa, ne sottolineano la vulnerabilità. La popolazione iraniana, stanca delle promesse non mantenute e sempre più consapevole delle manipolazioni, si trova a un bivio. Partecipare a quello che molti considerano un voto farsa o continuare a esprimere il proprio malcontento attraverso l’astensione e il boicottaggio.

Iran, una crisi di legittimità: il popolo grida al boicottaggio

Con oltre il 60% dell’elettorato astenuto al primo turno elettorale, l’Iran affronta una crisi di legittimità. La disillusione pubblica nei confronti sia delle fazioni conservatrici che di quelle riformiste è evidente e si traduce in un massiccio assenteismo. Per riaccendere l’interesse pubblico i candidati si sono sfidati in una serie di dichiarazioni provocatorie, che molti ritengono inutili “lotte intestine teatrali“. Inoltre, il leader supremo Ali Khamenei ha cercato di minimizzare il significato della bassa affluenza, suggerendo che la mancanza di partecipazione non rappresenta un’opposizione alla Repubblica Islamica, ma è dovuta a preoccupazioni e impegni personali degli elettori. Un tentativo mal riuscito, quello di Khamenei, di mascherare la crescente instabilità del regime.

La drastica diminuzione dell’affluenza è frutto di numerose cause economiche, politiche e sociali. Tra cui l’inasprimento della repressione governativa, la profonda crisi economica (in parte innescata dalle sanzioni statunitensi) e l’aumento di povertà e disoccupazione. Una situazione che affligge oltre il 90% della popolazione iraniana, in particolare donne, gruppi etnici (curdi, baluci, arabi) e poveri. Ma il risentimento verso il governo e il conseguente astensionismo, è un fenomeno trasversale a classi, generi e etnie. La maggioranza degli iraniani infatti non vede una luce alla fine del tunnel per il proprio futuro se il governo islamista rimane al potere.

Se gli incentivi a votare sembrano dunque scarseggiare, abbondano invece rabbia e disillusione, che spingono gli elettori a gridare al boicottaggio elettorale. Fomentati dalle opposizioni che esortano a disertare le urne per delegittimare il regime. Anche il caldo torrido non gioca di certo a favore dell’affluenza, oltre alla rapidità con cui questa tornata elettorale è stata organizzata. Esattamente 50 giorni dopo la morte del presidente Ebrahim Raisi in un misterioso incidente di elicottero.

Iran verso il ballottaggio: la stretta sui media e gli sforzi per radunare gli elettori


Con l’avvicinarsi del ballottaggio del 5 luglio, il governo iraniano ha intensificato la repressione mediatica. Cercando così di controllare la narrazione e manipolare l’opinione pubblica. La bassissima partecipazione elettorale e le diffuse intenzioni di boicottaggio hanno scatenato un’ondata di misure censorie e intimidatorie nei confronti di media. Da inizio giugno, infatti, il Press Supervision Board iraniano ha emanato rigide linee guida per la copertura mediatica delle elezioni. L’organizzazione di proteste non autorizzate, la diffusione di materiale di boicottaggio e la pubblicazione dei sondaggi di opinione sono state proibite. Pena “avvertimenti” giudiziari – che altro non sono che repressioni della libertà di stampa -, già ricevuti da 17 testate iraniane. Tra cui il quotidiano economico Jahane Sanat, censurato da parte della procura di Teheran per aver pubblicato un articolo sui risultati delle elezioni.

Inoltre, secondo IranWire, il Ministero degli Interni iraniano avrebbe improvvisamente negato le credenziali stampa ai giornalisti delle testate “riformiste” Shargh Newspaper e Hammihan, impedendo loro di seguire il processo elettorale. Mentre le forze di sicurezza e di intelligence iraniane hanno sigillato lo studio dell’emittente liberale Fardaye Eghtesad. Una vera e propria escalation che, secondo il gruppo per i diritti non-profit Defense of the Free Flow of Information (DeFFI), ha portato gli incidenti giudiziari contro la stampa e i media iraniani ad aumentare di nove volte nel solo mese di giugno. Segnando il livello più alto di soppressione mediatica dall’inizio dell’anno. Un evidente tentativo di repressione e manipolazione da parte del regime, che non lascia di certo indifferenti gli elettori iraniani, soprattutto i radicali, i riformisti e i boicottatori.

Iran al voto: Pezeshkian volto del cambiamento o Giano Bifronte?

Se non sceglieranno la via dell’astensionismo, probabilmente molti iraniani si recheranno alle urne soltanto per evitare il peggio. Il conservatore Jalili, con il suo orientamento radicale, rischia di peggiorare l’economia dell’Iran, facendo aumentare le sanzioni internazionali. L’alternativa riformista allo status quo è invece incarnata dal 69enne Masoud Pezeshkian, medico chirurgo e già ministro della Salute con Mohammad Khatami. Il suo approccio a questioni chiave per il popolo iraniano, come i diritti delle donne e l’attenuazione delle tensioni politico-economiche con l’Occidente, potrebbe attirare anche i voti delle minoranze e dei moderati.

Tuttavia, Pezeshkian ha un passato controverso. Sul fronte della politica estera, il candidato riformista ha promosso leggi per sostenere Gaza e contrastare Israele, contribuendo alle tensioni con l’Occidente. In campagna elettorale, invece, ha cercato di distanziarsi da queste posizioni, proponendo la pace globale come strategia per migliorare le relazioni internazionali dell’Iran. Durante le proteste del 2022, ha definito i manifestanti “nemici del popolo”, allineandosi con la retorica del regime. E nel 2010, ha sostenuto un disegno di legge che promuoveva la pubblica umiliazione delle donne che sfidano l’obbligo dell’hijab. In netto contrasto con l’immagine di difensore dei diritti delle donne che i riformisti cercano di dipingere.