Un discorso pronunciato dall’ex presidente Usa George W. Bush, in carica dal 2001 al 2009, nel 2011 alla Southern Methodist University di Dallas, nel nativo Texas, sta tornando oggi virale alla luce del rilancio della candidatura presidenziale di Donald Trump per un secondo mandato e dopo la Convention Nazionale Repubblicana che, per la prima volta, non ha visto presenti l’ex comandante in capo dell’epoca dell’11 settembre e molte altre figure di peso. Tra cui l’ex candidato presidenziale Mitt Romney e la figlia del vice di Bush Liz Cheney.
Nativismo, isolazionismo, protezionismo: le spine dell’America secondo Bush
La convention incorona a Milwaukee Trump, fresco sopravvissuto all’attentato di sabato scorso, candidato, sostenuto da J.D. Vance, senatore dell’Ohio e cantore della periferia d’America, come vice designato, ma soprattutto rilancia un’agenda politica di ampia portata sistemica. Ben identificata nel Project 2025 della Heritage Foundation che predica il principio politico “America First” in campo internazionale, facendo partecipare gli alleati della sicurezza garantita dagli Usa, il deciso stimolo a un’aggressiva politica commerciale e una proposta sull’immigrazione che appare favorevole a fare dell’America una fortezza e a deportare milioni di stranieri irregolari.
Autarchia politica, autoreferenzialità commerciale, autodeterminazione in campo migratorio erano chiamati da Bush nel 2011, con tre termini netti: isolazionismo, protezionismo, nativismo. Tre principi che secondo Bush jr. avrebbero gradualmente riconquistato il Partito Repubblicano dopo averlo dominato durante le presidenze degli Anni Venti del Novecento. I più anti-Trump della formazione stanno riscoprendo queste parole del leader delle guerre d’Afghanistan e Iraq.
Sembra una vita fa, ma era il 2011…
Bush parlava in un’America che viveva ancora l’esperienza della prima presidenza Obama e in cui emergevano, gradualmente, le faglie dell’eredità delle guerre mediorientali e della Grande Recessione. Bush parlava preoccupato, in quella fase dove il Partito Democratico aveva portato al potere il primo presidente nero, per la reazione politica che avrebbe potuto suscitare un trinceramento della maggioranza della popolazione su temi decisivi, invitava Repubblicani e Democratici a negoziare un’agenda bipartisan per un’immigrazione ragionata e ammoniva: “il mio punto è che abbiamo attraversato questo tipo di periodo di isolazionismo, protezionismo e nativismo. Sono un po’ preoccupato che potremmo attraversare lo stesso periodo. Spero che questi ‘ismi’ passino”.
In qualunque modo la si pensi, è emblematico sottolineare come appaia sicuramente d’impatto il fatto che queste parole siano state pronunciate meno di quindici anni fa. Cinque anni dopo il Partito Repubblicano tornò al potere sulla scia del ciclone-Trump. e dal 2016 a oggi è diventato un partito completamente diverso. Bush, che non ha partecipato alla convention di Milwaukee, non avrebbe più riconosciuto la formazione sua, di Romney o del defunto senatore e candidato del 2008 John McCain.
“Viviamo in un mondo arrabbiato”: il discorso anti-Trump del 2016
Nel 2016, parlando all’ex premier britannico Tony Blair, Bush intervenendo alla cerimonia dei diplomi della Little Rock Central High School, focalizzò in particolare il suo discorso sul declino della fiducia americana verso il resto del mondo e il senso di missione degli Usa.
In particolare, Bush accusava l’agenda dell’emergente Trump ricordando che “il nativismo, o paura degli stranieri, colpisce la nostra anima. Non credo che tu possa prosperare se hai paura di qualcun altro“, aggiungendo che nella politica mondiale odierna “l’obiettivo deve essere uno scopo comune. Ora c’è un mondo arrabbiato. È difficile trovare uno scopo comune quando c’è molta rabbia e sfiducia. Hai bisogno di una leadership per elevare il discorso. Sono fiducioso solo perché queste cose vanno a cicli, ma in questo momento siamo in un ciclo difficile”.
Il Partito Repubblicano da Bush a Trump
Letti a anni di distanza, questi interventi ci mostrano quanto sia cambiato un mondo che forse non c’è proprio più. Ma è, oggettivamente, qui a ricordare quanto vent’anni abbiano trasformato il giudizio e le aspettative sulle classi dirigenti. Leader come Bush, che hanno (ed è inutile ribadirli) enormi problemi e pecche a macchiare il loro curriculum di governo, sono inquadrabili in una visione del mondo politica e organica, come le loro basi.
Appare difficile confrontare il Partito Repubblicano di ieri e quello di oggi se non per segnalare come dall’apoteosi di un modo, quello conservatore, di vivere la vita pubblica e politica americana si sia passati a un’interpretazione che mette, oggigiorno, un solo uomo al centro. E il Project 2025 appare la conferma dell’avverarsi della previsione di Bush. A un secolo esatto da quei torbidi Anni Venti che per gli Usa finirono con il big bang della Grande Depressione, una coincidenza tutta da analizzare…