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Le Vele di Scampia, una storia di avanguardia e degrado

Le Vele di Scampia, una storia di avanguardia e degrado

Perché leggere questo articolo? Le Vele di Scampia sono una storia incompiuta. Al progetto avveniristico di Di Salvo è mancato il completamento. Quindi è arrivato il degrado.

Quella delle Vele di Scampia è una storia incompiuta. Un filo spezzato che collega avanguardia e degrado, speranze e abbandono. “È una tragedia che è sotto gli occhi di tutti, il degrado è sotto gli occhi di tutti, si sta lavorando perché ci sia il superamento di questo degrado”. Queste le parole del prefetto di Napoli, Michele di Bari, direttamente da Scampia, dopo il crollo di un ballatoio alla Vela Celeste che ha causato due morti e diversi feriti, tra cui anche bambini. Le Vele di Scampia, però, non sono sempre state solo questo.

Il progetto avanguardistico delle sette Vele di Scampia

Nella mente del suo ideatore, l’architetto Franz Di Salvo, le Vele dovevano portare a Scampia una ventata d’aria nuova. Carlotta Marelli su Decor le definisce: “Un intervento di edilizia economica popolare che, nelle intenzioni dei progettisti, doveva favorire l’integrazione e la costruzione di una comunità di residenti ed essere collegato alla città da ampi spazi verdi con percorsi pedonali, aree giochi per i bambini, centri scolastici, commerciali e religiosi“.

Così nel 1962, dopo l’approvazione della legge 167 sull’Urbanistica, arriva la posa della prima pietra. Entro il 1975 vengono costruite le sette Vele. Un progetto ispirato all’Existenzminimum, corrente architettonica che riduceva l’unità abitativa al minimo indispensabile, con una spesa costruttiva contenuta, ma con spazi comuni dove la collettività si integrava. Per le Vele di Scampia Di Salvo si è ispirato ai vicoli del centro storico di Napoli e le Unités d’habitation di Le Corbusier in Francia.

Un piano ambizioso e incompleto

Prendono così vita i simboli del “brutalismo“. Le Vele di Scampia portano con sé un’idea di utopia sociale. Costruire una macchina abitativa autosufficiente in cui le famiglie potessero vivere come in una “città in miniatura” e dare forma alla propria comunità. Due tipologia di edifici, a “torre” o a “tenda”, costituite da due blocchi a gradoni – ciascuno alto al massimo 14 piani – separati da un vuoto centrale e collegati da scale, ascensori e ballatoi volti proprio a favorire le relazioni tra gli abitanti.

Nel piano originario le Vele di Scampia prevedevano la realizzazione anche di centri aggregativi e di spazi comuni. Ci sarebbe dovuto essere uno spazio di gioco per bambini e altre attrezzature collettive. In sostanza uno spazio di socializzazione che però non è mai realizzato, contribuendo così anche al fallimento dell’opera per come era stata pensata.

Il declino delle Vele di Scampia

Così, in brevissimo tempo (già alla fine degli anni Settanta), le Vele di Scampia si sono trasformate in luogo di degrado, di malavita e spaccio. Il terremoto in Irpinia negli anni Ottanta ha portato occupazioni abusive e l’approdo delle Vele nel dibattito pubblico. Attenzione che è aumentata grazie a cinema e tv.  In questi luoghi sono state girate scene del film “Gomorra”, del regista Matteo Garrone, ma anche della fortunata serie tv oltre che del film “Ammore e malavita” dei Manetti Bros. Tra il 1997 e il 2020 quattro dei sette palazzi sono stati abbattuti. Dei tre rimasti due verranno abbattuti. Per l’unico rimasto era prevista una riqualificazione, peccato sia proprio quello in cui si è verificata la tragedia.