Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il campionato libico giocato in Italia ha visto il prevalere dell’Al Nasr di Bengasi, la squadra della famiglia Haftar. E Khaled Haftar, al momento della premiazione allo stadio dei marmi di Roma, ha abbandonato la struttura assieme ai suoi giocatori mentre Tajani aspettava di consegnargli la coppa.
Non poteva finire peggio la “final six” del campionato libico di calcio ospitata in Italia. Tra le sei squadre partecipanti infatti, a vincere è stata l’Al Nasr di Bengasi di proprietà di Khaled Haftar, figlio del generale Khalifa Haftar che da dieci anni controlla la Cirenaica ed è quindi rivale del governo di Tripoli, quello riconosciuto dall’Italia. La vittoria ha creato non pochi imbarazzi diplomatici, specialmente durante la premiazione: “Di tutto aveva bisogno il governo italiano – dichiara una fonte diplomatica a true-news.it – tranne che di veder vincere il club degli Haftar e l’abbandono dello stadio dei giocatori dell’Al Nasr durante la cerimonia lo dimostra”.
Un torneo senza pace, in tutti i sensi
Un torneo unitario in Libia, Paese dal 2011 spaccato e governato da diverse fazioni, è impossibile da tenere. Il locale campionato si snoda in due gironi, uno dell’ovest, con le squadre della capitale Tripoli e di Misurata, e uno dell’est. Le prime tre di ogni girone giocano poi per l’appunto la final six all’estero, per evitare che una squadra dell’ovest giochi nell’est e viceversa. Nell’ambito degli accordi siglati a maggio durante la visita di Giorgia Meloni in Libia, si è deciso di giocare nel nostro Paese l’atto conclusivo del campionato.
Il torneo doveva iniziare a fine giugno, in seguito è stato però più volte rinviato. Il motivo? Ad alcuni giocatori non sono piaciuti gli alberghi per i ritiri in Toscana, regione in un primo momento designata a ospitare il campionato. In seguito, i libici hanno espresso la propria volontà di non voler giocare in campi fatti con erba sintetica.
I primi giorni di luglio sono così trascorsi con il personale della federcalcio italiana e libica a cercare stadi e campi adeguati per dare il via al torneo. Pur tra mille problemi e altrettante incognite, le partite hanno preso il via in Abruzzo e in Campania. A quel punto, lo stesso governo italiano ha potuto tirare un sospiro di sollievo.
Il figlio di Haftar alla ribalta
Quando però un qualcosa parte sotto una stella molto negativa, evidentemente occorre sempre aspettarsi il peggio. E infatti, la condizione meno auspicabile per il governo italiano, ossia la vittoria del club di Haftar, si è puntualmente verificata. E non era nemmeno così preventivabile: “Se va a vedere l’albo d’oro – afferma la fonte diplomatica su true-news.it – leggerà che 39 campionati sono stati vinti da formazioni tripoline, 8 invece da quelle di Bengasi”. Lo scudetto libico è quindi spesso un affare della squadre dell’ovest della Libia. Spesso, non sempre: proprio quest’anno l’Al Nasr ha fatto un percorso netto, cinque vittorie su cinque e primato mai in discussione. E la famiglia di Haftar, a partire dal figlio Khaled, si è così potuta prendere la scena.
Per il generale e per i figli è tanta roba: l’est che batte l’ovest, Bengasi che trionfa su Tripoli, la vittoria dell’Al Nasr ha assunto molti significati politici. In Libia del resto il calcio è vissuto in modo molto intenso: ai tempi di Gheddafi, per esempio, l’unico modo per portare avanti l’ostilità contro il regime era quella di battere l’Al Ahly di Tripoli, la squadra del figlio del rais. E quando l’altro Al Ahly, quello di Bengasi, una volta nel 2000 è riuscito nell’impresa, Gheddafi non ha trovato di meglio da fare che sciogliere per cinque anni la compagine della Cirenaica.
Il caos alla cerimonia
Khaled Haftar, dopo aver assistito da Bengasi al trionfo della sua squadra, ha subito preso un aereo ed è planato a Roma. Qui, all’interno dello stadio dei marmi, era prevista la cerimonia di consegna della coppa e delle medaglie. Khaled ha preso posto in tribuna, a pochi passi del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e di quello dello sport, Andre Abodi. Ma, soprattutto, a pochi sedili di distanza da alcuni rappresentanti del governo di Tripoli, antagonista del padre Khalifa Haftar.
Un imbarazzo che si è trasformato in un giallo durante il proseguo della cerimonia. Mentre infatti Tajani e Abodi stavano tenendo un discorso, i giocatori dell’Al Nasr hanno iniziato ad abbandonare la tribuna. I due ministri hanno atteso invano i protagonisti del torneo per la consegna delle medaglie, ma alla fine è tornato indietro solo il capitano per prendere la coppa e dare una veloce stretta di mano ai rappresentanti istituzionali.
“Il campionato in Italia? Alla lunga, non si è rivelata un’ottima idea”
Il comportamento dell’Al Nasr ha rappresentato uno smacco per le autorità di Tripoli presenti ma, ovviamente, anche per quelle italiane. Tanto più che Khaled Haftar, dopo aver lasciato la tribuna, è andato a festeggiare nel parcheggio dello stadio dei marmi assieme ai suoi giocatori in una sorta di “contro cerimonia”.
Il motivo dell’interruzione così improvvisa della consegna delle medaglie, secondo alcuni è da rintracciare nei discorsi troppo lunghi dei ministri italiani in grado di far spazientire i giocatori libici: “Ma in merito è stato scritto molto – ha commentato la fonte diplomatica – sicuramente qualcosa è successo, ma lo ricollegherei piuttosto all’imbarazzo dei rappresentanti di Tripoli di dover premiare la squadra di Haftar”.
In effetti, così come ricostruito su Domani, il primo ad abbandonare lo stadio sarebbe stato proprio Khaled Haftar e questo per via del rifiuto, da parte delle autorità tripoline, di vederlo sul palco della cerimonia durante la premiazione. Da qui l’uscita di scena anche dei giocatori e l’imbarazzo per i ministri italiani di parlare a una platea striminzita e attendere invano il rientro dei calciatori.
“Con il senno del poi – ha concluso la fonte – si può dire che ospitare qui il torneo libico ha rappresentato una pessima scelta. Forse erano più che giuste le intenzioni, ma spesso il calcio in Libia diventa specchio della situazione politica. E in Italia abbiamo quindi portato una parte minima ma rilevante del conflitto in corso da 13 anni”.