Home Primo Piano Ghosting, mi sono fatta spiegare dal ‘mio’ ghostatore infame perché l’ha fatto (e la risposta c’è. Però fa schifo)

Ghosting, mi sono fatta spiegare dal ‘mio’ ghostatore infame perché l’ha fatto (e la risposta c’è. Però fa schifo)

Ghosting, mi sono fatta spiegare dal ‘mio’ ghostatore infame perché l’ha fatto (e la risposta c’è. Però fa schifo)

Ghosting, maledetto chi se l’è inventato. Annoso fenomeno che sventricola i cuori di noi tutti, pool di esperti negli anni hanno provato a spiegarne eventuali ragioni e possibili rimedi. La sparizione improvvisa della persona amata, se siete qui perché chiamate ‘Chi l’ha visto?’ dopo una botta e via, fateci la cortesia di levare le tende, è uno choc. Un lutto immeritato che costringe la maggior parte degli esseri umani, ambosessi, a settimane, mesi di calvario mentale, di strazio emotivo. Ci ritroviamo tutti Max Pezzali a domandarci ‘Dove ho sbagliato e perché?’ nella speranza che, prima o dopo, ci ritroveremo in grado di gridare ai nostri ventricoli scudisciati dall’assenza: ‘Non ho nessun rimpianto! Nessun rimorso!’.

Le motivazioni per cui il ghosting sia pratica così diffusa, però, restano mistero fitto. Come si può infliggere una carognata del genere a qualcuno a cui, sulla carta, si vuole del bene? Si parla di narcisismo patologico (sempre lui!), di vigliaccheria (questo, vero), di un amore forse soltanto immaginato (ma ci droghiamo? No. E allora?). Mentre le teorie fioccano perché la maggior parte degli scrivani del web è freelance e a tutti tocca pagare l’affitto, personalmente ho messo a frutto la mia pervicacia. Dunque, mi sono fatta spiegare, rasentando l’autodistruzione, da un ‘ghostatore’ infame, il ‘mio’ ghostatore infame, il perché del folle gesto. Ho una risposta? Sì. Vi piacerà? Per niente. Andiamo.

Ghosting, chi lo fa prima di tutto è un vigliacco

“Ti prego, non perdiamoci. Sei l’unica cosa bella della mia vita”. Questo l’ultimo messaggio, notturno, che ho ricevuto dal ghostatore infame. Prima che sparisse per sempre e io mi ritrovassi a cercarlo nella cronaca locale della estrema provincia piemontese in cui risiede. Lavora in cantiere, gli piace fare lo scemo in macchina, non si sa mai. Aveva pure smesso di postare su Instagram reel di auto veloci e motori che fanno tantissimo rumore, i due gatti nel feed, i suoi infiniti tatuaggi. Così innamorata da pensare che l’unica spiegazione possibile fosse un decesso improvviso, me ne stavo andando al camposanto io di crepacuore. E ho anche sviluppato, da lì, una gradevolissima orticaria da stress che ancora m’accompagna. Forse, quella sì, per sempre.

Eravamo insieme, in simbiosi, da mesi oramai. Ci sentivamo ogni giorno, per ore. Perfino un rettile si sarebbe accorto della differenza. Un rettile ma non lui, a quanto pare, l’infame. “Non avevo mai osato nemmeno sognare che una donna come te potesse esistere”, sosteneva. Non era love bombing, era destino. Più forti di qualunque contingenza avversa (ce n’erano assai), veleggiavamo verso il nostro meraviglioso futuro sulle ali della sfacciata fortuna d’esserci incontrati. E con la benedizione di mammà (sua): “Non avevo mai visto mio figlio così felice”, diceva. E gli amici del paesello a farle da eco. Vissuto tutto questo, spirò. Anzi, sparì. L’infame, il codardo, il vigliacco, il cliché di cui mi ritrovavo pur tuttavia ancora innamorata come mai mi era più capitato dai miei 20 anni.

La beffa: pensi di avere torto tu

Ogni tanto lo cerco, muoio manco visualizzata. Poi esce su Netflix la seria ‘Baby Reindeer’ e smetto di scrivergli. Mi sento Martha. Anche se ho ragione. Ma pure la stalker da incubo Martha, dopotutto, era convintissima di avere ragione. Io non sono quella lì, non scherziamo. Mi suggestiono tanto da lasciar perdere. Però soffro, è stato (ed è) un po’ come il Covid: una volta passato, continuo a vivere la mia vita. Ma ne ho perso per sempre (?) ogni sapore. Non ho voglia di ascoltare musica perché le canzoni mi ricordano la felicità, ricevo esami del sangue con più asterischi che numeri, scopro di non essere per niente in salute. Glielo scrivo, spaventatissima, è l’unico a cui ho voglia, forse bisogno, di dirlo. Visualizza, non risponde. Era stata una persona di cui avrei potuto dire, e viceversa, quante volte fosse andato a pisciare. Ogni giorno. Capitano anche cose bellissime, sul lavoro. Ma è come se io fossi annoiata spettatrice della mia stessa vita. Tornando a casa, da una giornata bella o da una giornata orrenda, il primo istinto è quello di raccontargliela. Pure il secondo, il terzo e il quarantesimo. Solo, non si può fare. E non ho idea del perché.

Patisco. In silenzio. E sentendomi in colpa. Perché bisogna rispettare la volontà altrui, per quanto inespressa. Altrimenti, sei Martha di ‘Baby Reindeer’. Non è carogna lui, sei stronza tu. Forse devi andare a parlarne in terapia, può essere che tu non sia ‘normale’. Magari hai la sindrome dell’abbandono, qualche trauma infantile irrisolto, sicuro qualcosa di sbagliato, di orribile. Qualunque roba sia, lui l’ha vista. E, infatti, è scappato. Ecco perché. Devi farti vedere da uno bravo, chissà quale tipo di mostro sei. Sicuro, uno che fa paura al punto da scoraggiare anche la persona più innamorata di te che avessi mai incontrato. Nel dubbio, vergognati.

Ghosting, finalmente la spiegazione (anche se fa schifo)

Passati 5 mesi dalla sparizione, matta per matta, all’improvviso, una sera gli scrivo che è stato uno str0nzo. Che non si sparisce così. Che, secondo me, quella fidanzata con cui ‘era’ stato cinque anni, nota alle nostre romantiche cronache come ‘storia finitissima’, non l’aveva lasciata mai. E che mi piacerebbe, per curiosità, chiederne conto a lei. L’infame ghostatore a questo messaggio risponde. “Era da tanto che volevo scriverti, ma non trovavo il coraggio”. Povera stella. Parte una chat fittissima. Si scusa. Ma lo fa ora che sta con le spalle al muro, non vale nulla. Mi prega di non ‘rovinargli la vita’, mi ammonisce: “Se parli con lei, guarda che non ci fai una bella figura, passi per puttana, io lo dico per te”. Lo dice per me. Non lo nego, mi piace che se ne stia a chiappe strette. ‘Mica sono innamorato, sai, è routine’, spiega. Andranno in vacanza dai genitori di lei, al mare, come ogni estate.

Non si erano mai lasciati, convivevano, e per quanto ne sapesse lei si amavano, anche durante i mesi in cui lui frequentava me, “la donna della sua vita”. Ora il ghostatore infame ‘vuole’ un’amicizia, dimostrarmi di essere “uno che rimane, non uno che se ne va”. Sono più nera della pece, sputo fuoco e parole di cui non mi vergogno anche se il bon ton lo imporrebbe. Mentre il cuore mi si disfa in così tanti microscopici pezzettini che non basteranno 45 reincarnazioni per tornare a farlo funzionare, gli chiedo: “Sei sparito per lei, dunque?”. La risposta, a sorpresa, è: “No, ma cosa c’entra la mia fidanzata?!”. Cosa c’entra, infatti. “È solo che chiarire e dare spiegazioni crea sempre problemi e complica le cose. Uno sparisce e l’altra persona capisce. Così non si rovinano i rapporti e i bei ricordi discutendo”. Ah.

Chi fa ghosting è già un fantasma

Il ghostatore infame si rivela, quindi, un genio, un campione, il capo dei Ponzio Pilato, dei fedifraghi paraculi. Sì, perché quella che ha espresso non è una sua teoria, ma la pura verità. Infatti, gli pare davvero ‘strano’ che io non riesca a capire, che mi incazzi quanto un branco di dodici puma di fronte a una tale ovvietà, a cotanta concretezza universalmente accettata. Devo, per forza, avere ‘problemi nel controllo della rabbia’. Insomma, sono strana. Rispondo senza rispondere di me e, per citare il buon ZeroCalcare, ‘finisce tutto a sangue e merda’. Sto parlando con una persona che ha il livello d’empatia di un cruscotto parcheggiato al sole il 15 d’agosto. Con una persona che non vede altro all’infuori del proprio ombelico, per cui non esiste nulla oltre al proprio sacro deretano. Poco importa se ‘prima’ non era così, se non corrisponde manco da lontano al maschio amorevole e gentile che avevo avuto la ‘fortuna sfacciata’ di incontrare su X. I fatti, le parole, le dimostrazioni, il sostegno reciproco, quell’urgenza di sentirmi per ore ogni giorno. Tutto ciò proveniva già da un fantasma. Da un fantasmino. Tipo quei calzini che si mettono nelle scarpe e stanno lì, comodi, senza essere visti. Utilissimi, eh? Ma non escono allo scoperto, nessuno li vede. Solo chi li indossa, li sa.

Soffrire è inevitabile, ma resta un furto di tempo

Se state vivendo le pene del ghosting, autoflagellandovi da mane a sera – che, tra l’altro, con ‘sto caldo non conviene – sappiate che lo state facendo invano. Lo state facendo per un cyborg, anzi per l’equivalente umanoide di una lattina, che a voi non pensa più dall’esatto momento in cui è sparito. Per lui (o lei) siete stati, al massimo, una discussione scampata ‘tanto’ tempo fa. E per la miopia con cui ‘vede’, almeno non ha ‘rovinato i rapporti’, ha fatto pure un favore a entrambi. Quanti bei ricordi avete così potuto custodire, infatti. Come smettere di fumare e iniziare a svapare mango. Quando lo contattate, per lui è come se un pacchetto di Chesterfield gli scrivesse su Whatsapp per domandargli, preoccupato e malinconico, che fine abbia fatto. Fatevi sentire, dunque, strepitate le vostre ragioni. Finirete, comunque, smistati nell’indifferenziata del cuore che questa persona non ha. Dove, per altro, già vi ha sepolti quel dì. È giusto? No. Fa arrabbiare? In maniera abissale. Ma, a un certo punto, smetterà di far male, si dice. Ogni secondo che dedicate a questa via crucis, lo dico dall’alto di sette mesi trascorsi a lacrimare, è un furto di tempo. Scrivete a chi c’è.