Perché leggere questo articolo? Il ritorno dei talebani al potere sta trasformando l’Afghanistan in una prigione a cielo aperto. La pubblicazione della Gazzetta Ufficiale n. 1452 segna un ritorno alla repressione: invece di servire il popolo, la legge talebana lo opprime con decreti che annullano i diritti delle donne e cancellano ogni speranza di progresso. L’unica professione concessa alle afghane è ormai l’ostetricia. Ma, spesso mal preparate, rischiano di mettere in pericolo la vita dei nuovi nati e delle loro madri
Il 31 luglio 2024, il Ministero della Giustizia talebano ha pubblicato la Gazzetta Ufficiale n. 1452, un documento che rappresenta il paradosso della storia legislativa afghana. Le Gazzette Ufficiali, una volta fonte di progresso e modernizzazione per il Paese, sono ora testimoni di un regresso inquietante. Riempite di decreti che mirano a cancellare qualsiasi traccia di libertà e diritti umani, specialmente per le donne.
Nel regime talebano, la legge è un’arma di repressione, un dogma immutabile, una divisa cucita senza riguardo per chi la deve indossare. I decreti non offrono giustizia né protezione, sono semplici strumenti di controllo, usati per soffocare qualsiasi forma di dissenso e per ridurre la società afghana a un’immagine distorta e retrograda.
Non sorprende che le donne siano uno dei principali bersagli di questa legislazione repressiva. Il leader talebano, Mullah Hibatullah, riduce le donne a esseri deboli, fonti di corruzione, meritevoli solo di restrizioni. Il suo primo decreto sulle donne, le riconosce appena come esseri umani e nega loro l’uguaglianza con gli uomini, limitandosi a regolare il loro matrimonio e la loro eredità in sei stringati punti. Questo è il massimo che le donne possono aspettarsi sotto il regime talebano: un’esistenza limitata e circoscritta da divieti, interdette dall’istruzione, dal lavoro e dalla partecipazione sociale.
Ostetriche della disperazione: una scelta imposta
Con l’istruzione superiore vietata, l’unica strada professionale ancora accessibile per le donne afghane è quella dell’ostetricia. Ma questa non è una scelta, bensì una costrizione dettata da un sistema che le ha private di ogni altra alternativa. Il percorso formativo, che dovrebbe preparare a salvare vite, si rivela un’illusione, caratterizzato da una formazione superficiale e inadeguata. Molte giovani donne si trovano a dover affrontare situazioni di vita o di morte senza le competenze necessarie.
La mancanza di formazione qualificata, unita a esperienze pratiche insufficienti, espone madri e neonati a pericoli enormi. Questa situazione non fa che aggravare il già allarmante tasso di mortalità materna, rendendo l’Afghanistan uno dei luoghi più pericolosi al mondo per partorire.
Alcune donne hanno raccontato a Zan Times – testata afghana nata proprio con lo scopo di dar voce al grido di denuncia e di aiuto femminile – di aver perso i loro neonati a causa di errori delle ostetriche. “Non sanno nemmeno distinguere la destra dalla sinistra, eppure sono qui per far nascere i bambini”, denuncia una di loro. Un’altra giovane donna, ora ostetrica in una clinica, racconta con amarezza: “Non ci hanno preparato abbastanza. Mi sento spesso impreparata di fronte a situazioni di vita o di morte”. Le sue parole riflettono una realtà condivisa da molte, dove la mancanza di istruzione adeguata ha trasformato un lavoro essenziale in un’ulteriore forma di oppressione.
Virtù e vizi in Afghanistan: il mondo alla rovescia dei talebani
Per i talebani, il concetto di “virtù” è strettamente legato alla repressione della libertà personale, in particolare quella delle donne. Le nuove leggi sull’hijab non si limitano a imporre un codice di abbigliamento, ma mirano a cancellare la presenza femminile dalla sfera pubblica. Persino le voci delle donne sono considerate “aurat”, da nascondere come se fossero peccaminose. Questa ossessione per il controllo sociale si estende anche agli uomini, ai quali è imposto un rigido codice di comportamento.
Ciò che nel resto del mondo è considerato progresso e diritti umani, sotto il regime talebano diventa invece “vizio“. I media sono sottoposti a una censura soffocante, le relazioni interpersonali sono rigidamente controllate e la libertà di espressione è praticamente inesistente. La giustizia talebana non è altro che un rigido codice religioso, slegato dalle realtà e dai bisogni della società contemporanea. Invece di servire il popolo, la legge talebana lo opprime, trasformando l’Afghanistan in una prigione a cielo aperto dove ogni aspetto della vita è regolato da un’arbitraria e crudele interpretazione della Sharia.