La Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha fatto domanda di adesione al gruppo BRICS+. Ankara intende unirsi al forum di Stati esterni all’Occidente costruito attorno a Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica e avente in Mosca e Pechino i suoi animatori. Una mossa che dopo le adesioni di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran nel 2023 amplia la prospettiva dell’organismo dandogli una netta connotazione di apertura al mondo islamico. E che a Erdogan serve per far pesare la sua influenza di fronte agli alleati occidentali. Abbiamo commentato gli scenari con l’analista geopolitico e co-fondatore di MasiraX, Emanuel Pietrobn, esperto di geopolitica turca.
Pietrobon, ritiene ci sia una volontà esplicita del gruppo dei BRICS, ora BRICS+, di intendere principalmente tesa verso il mondo islamico la loro espansione?
I BRICS+ parlano sempre di più la lingua del Corano, una scelta politica studiata nei minimi dettagli che, nei calcoli di Russia e Cina, i motori di quest’eterogenea alleanza economica, dovrebbe dare impulso alla transizione dall’attuale uni-bi-multipolarismo al multipolarismo perfetto, o, meglio ancora, a un tri-multipolarismo.
Con la Turchia e, in prospettiva, l’Arabia Saudita il gruppo associato principalmente a Russia e Cina potrebbe aver un peso preponderante nell’islamosfera?
Tre delle cinque potenze-guida dell’islamosfera fanno oggi parte dei BRICS+ e l’ingresso di Arabia Saudita e Turchia inciderebbe profondamente sulla traiettoria di questa componente fondamentale del sistema internazionale, la umma, spostandola verso oriente. Russia e Cina sono consapevoli del fatto che non può e non potrà esserci superamento dell’attuale uni-bi-multipolarismo senza una mobilitazione en masse dell’islamosfera, perlomeno della parte che conta di essa, perciò hanno aperto le porte della loro alleanza contro il dollaro ad Algeria, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran, e adesso hanno ricevuto le candidature di altre due realtà-chiave di questo cosmo civilizzazionale: Turchia e Palestina.
Il veto indiano sull’Algeria nei Brics e le pressioni Usa sull’Arabia Saudita hanno possibilità di condizionare questo processo?
La candidatura di Algeri è stata respinta in extremis a causa del veto franco-influenzato di Delhi. L’ingresso di Riad è stato (per ora) bloccato da Washington, che sta corteggiando la dinastia dei Saud col cosiddetto “super-deal”. Ostacoli indubbi di cui bisogna tenere conto. Ma è altrettanto vero che questi ostacoli non hanno fermato il Pivot to the Ummah del duetto Mosca-Pechino. Che hanno bisogno di un Medioriente in subbuglio, e allineato verso levante, per causare un corto circuito nella grande strategia degli Stati Uniti.
Sul fronte della geopolitica turca, che visione ha Erdogan per cavalcare la corsa ai Brics?
La Turchia vede i BRICS+ come un mezzo per un fine: l’emancipazione dall’influenza occidentale. Se anche Ankara dovesse entrare nei BRICS+, non sarebbe rottura con l’Occidente, come non lo fu l’acquisto dei S400 da Mosca, ma certamente si tratterebbe di un duro colpo alle relazioni turco-occidentali e all’immagine dell’Occidente quale blocco coeso e (ancora) attrattivo.
La Turchia farà pesare in Occidente questo processo di avvicinamento ai BRICS?
Penso che la Turchia, maestra di doppiogiochismo e cerchiobottismo, stia agitando lo spettro dell’ingresso nei BRICS+ per strappare qualche concessione dall’UE, con cui, in sordina, è ripreso il dialogo sull’eterna adesione. Ma il fatto è questo: l’UE non vuole e non ha mai voluto realmente la Turchia al suo interno, da qui i negoziati protratti all’infinito. I BRICS+, al contrario, avrebbero tanto da guadagnare dall’ingresso di Ankara: parliamo del faro della civiltà turca, il punto di riferimento politico-culturale di popoli spalmati dal Caucaso al Turkestan. Potrebbe settare una tendenza e incoraggiare altri paesi-chiave di questo mondo a seguirla: oggi l’Azerbaigian, domani il Kazakistan, dopodomani chissà.