Home Economy Dalle auto ai bus: il governo Meloni spalanca le porte dell’Italia ai cinesi

Dalle auto ai bus: il governo Meloni spalanca le porte dell’Italia ai cinesi

Se la Cina delocalizza la produzione di auto elettriche... in Italia

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Non solo i dialoghi, ancora in corso, per portare in Italia il colosso cinese dell’automotive Dongfeng. Il governo Meloni ha quasi chiuso l’ingresso di un socio cinese per ridare ossigeno a Industria Italiana Autobus. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha parlato di un imminente accordo con un “primario attore cinese”, presumibilmente China City Industrial Group (CCIG). La giravolta di Urso è completa: dalla “crociata” contro il Dragone ai viaggi a Pechino per convincere i player cinesi a puntare su Roma.

Chi lo avrebbe mai detto? Adolfo Urso ha annunciato l’imminente arrivo di un gruppo cinese per sostenere il gruppo Seri Industrial e rilanciare Industria Italiana Autobus (IIA).

Proprio lui: il ministro delle Imprese e del Made in Italy. Lo stesso che fino a qualche mese fa – in linea con l’agenda del governo Meloni – attaccava a testa bassa le auto made in China e le politiche economiche del gigante asiatico. E che oggi è diventato l’uomo dell’esecutivo incaricato di costruire un “ponte della cooperazione” tra Roma e Pechino.

L’ultima notizia calda riguarda, appunto IIA, la strategica azienda italiana produttrice di autobus con marchio Menarinibus. Questo attore, nato nel 2014 da Finmeccanica e Tevere S.p.A, ha ereditato la produzione di BredaMenarinibus, King Long Italia e dello stabilimento Irisbus di Flumeri.

Nel 2024 la maggioranza del capitale sociale è stato ceduto a Seri Industrial (il 2% è rimasto a Invitalia). Adesso, l’arrivo di un investitore cinese, dovrebbe aiutare a risolvere alcune situazioni spinose.

Non solo auto: un socio cinese per i bus italiani

L’obiettivo del governo sembrerebbe essere uno: rilanciare IIA mettendo a disposizione di Seri Industrial un socio, cinese, desideroso di investire nel progetto.

Urso, che nella sua ultima trasferta estiva a Pechino ha incontrato, tra gli altri, il presidente di China City Industrial Group (CCIG), potrebbe riferirsi proprio a questa azienda.

In un recente tavolo con i sindacati e la proprietà, il ministro ha parlato di una “imminente stipula di un memorandum of understanding per la partecipazione in Industria Italiana Autobus di un primario attore cinese nel settore degli autobus con una quota del 25% nel capitale sociale”.

Non ci sono nomi sul tavolo anche se gli indizi, come detto, portano a pensare che il mister X coincida con CCIG. Fondata nel marzo 2016, CCIG (in precedenza nota come CRRC Urban Transportation Co., Ltd) è un’impresa a capitale misto statale costituita come joint venture tra CRRC e investitori statali locali e strategici nella regione del delta del fiume Yangtze.

La società ha sede a Fenhu, Wujiang, Suzhou, con asset totali di quasi 50 miliardi di yuan, asset netti di oltre 28 miliardi di yuan e quasi 10.000 dipendenti.

Il gruppo ha cinque settori principali: Greenway Heavy Industries, GS Mechatronics, Greenway Electric, CRRC MRT e Galactic Development e due società quotate in borsa con azioni A: Thinker Agricultural Machinery e Heshun Electric (Harmonic Electric).

Perché il governo Meloni ha cambiato registro sui player cinesi

In attesa di capire chi sarà il socio cinese di IIA, i lavoratori dell’azienda italiana sono in subbuglio. Per vicende interne, certo, ma anche per la preoccupazione che l’ingresso di CCIG – o chi per lei – possa consentire l’accesso dei nuovi arrivati a componentistica a prezzi molto bassi.

Ma con il rischio, hanno evidenziato Fim, Fiom, Uilm Ugl e Fismic in una nota, che i soci asiatici si riservino “di proporre nelle gare i propri mezzi laddove IIA non fosse in grado di fornirli”. “Ciò fa temere che IIA possa diventare in pratica un veicolo di commercializzazione di autobus prodotti in Cina”, si legge in una nota.

La situazione si è sostanzialmente ribaltata: le preoccupazioni di Urso e del governo Meloni, ora impegnati ad attirare player cinesi in Italia, adesso vengono sbandierate dai sindacati. Per quale motivo?

I costruttori cinesi di automobili, ma anche attori impegnati in settori affini, come quello degli autobus, sono interessati a piantare solide radici in Europa. I costi locali (energia e lavoro) sono più alti rispetto a quelli cinesi, ma operando nel Vecchio Continente gli emissari del Dragone possono bypassare dazi e tariffe di ogni tipo.

Sul fronte auto ci sono già accordi e intese interessanti. Leapmotor (gruppo Stellantis) costruirà la sua piccola elettrica T03 a Tychy, in Polonia. Byd ha annunciato l’inaugurazione, nel 2027, di una fabbrica in Ungheria. Chery Auto ha invece firmato un’intesa con gli spagnoli di EV Motors. Risultato: entro la fine dell’anno inizierà a produrre auto nello stabilimento in Catalogna (ex Nissan).

L’Italia, affamata di investimenti, era rimasta l’unica – ad eccezione di Francia e Germania che però sul fronte automotive giocano una partita a parte – a chiudere le porte in faccia alla Cina. Una posizione del genere non era più sostenibile.