Home Future Così l’Italia rischia di perdere il “suo” telescopio europeo

Così l’Italia rischia di perdere il “suo” telescopio europeo

Così l'Italia rischia di perdere il "suo" telescopio europeo

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Ruspe ferme e lavori sospesi in Sicilia per la costruzione del primo grande telescopio dell’Esa progettato per intercettare i più grandi asteroidi. Un ricorso al Tar da parte di alcune associazioni ambientaliste potrebbe favorire la costruzione dell’opera alle Canarie.

Il 6 settembre doveva essere il giorno della fantomatica prima pietra, quello dove si brinda alla fine di estenuanti iter burocratici e all’effettiva partenza dei lavori. Tuttavia, in una delle cime più suggestive del Parco delle Madonie, è rimasto solo qualche nastro rosso di cantiere a ricordare che lì dovrebbe sorgere, il condizionale è d’obbligo, il primo osservatorio della rete europea di monitoraggio degli asteroidi più pericolosi.

L’attivazione del cantiere è legata a una sentenza del Tar attesa per il 24 settembre. Entro quella data, i giudici amministrativi dovranno pronunciarsi sul ricorso di alcune associazioni ambientaliste da tempo impegnate contro la costruzione dell’osservatorio. Il tempo stringe e le polemiche, come prevedibile, non mancano.

La storia di “Fly Eye”, il rivoluzionario telescopio dell’Esa

Il pizzo individuato per la costruzione dell’osservatorio è quello di Monte Mufara, una delle selle che circondano Piano Battaglia, principale località sciistica del palermitano. Si è infatti a circa un’ora di strada dal capoluogo siciliano e dalle sue spiagge, ma qui si raggiungono quasi i duemila metri di altezza e, al netto di autunni aridi come gli ultimi che hanno caratterizzato l’isola, la neve per alcuni mesi fa capolino.

Nel 2016 l’Agenzia Spaziale Europea (Esa), ha annunciato l’avvio dello sviluppo di un moderno telescopio volto a individuare potenziali asteroidi minacciosi per il nostro pianeta. Si basa su una serie di telecamere e ottiche multiple, costituendo una composizione simile, come si legge sul sito dell’Esa, “all’occhio di una mosca”.

Di questi telescopi, chiamati Fly Eye, ne dovrebbero sorgere almeno quattro da piazzare in altrettante aree del pianeta. Il progetto, noto con l’acronimo di Neostel, andrebbe a svolgere un’importante funzione di sicurezza ma, al contempo, darebbe all’Esa un indiscusso prestigio internazionale e un ruolo di primo piano nella prevenzione degli impatti degli asteroidi.

Il tribolato iter

Nel 2018, la prima svolta: l’ente ha infatti assegnato all’Italia la costruzione del primo Fly Eye, individuando in Monte Mufara la sede ideale. Un colpo importante per l’Asi, l’Agenzia Spaziale Italiana, tra le più grandi in ambito europeo e mondiale. Ma non tutto in questi sei anni è filato liscio. Diverse associazioni ambientaliste hanno mostrato perplessità sulla scelta di Monte Mufara.

Si è quindi costituita una rete formata da Wwf, Italia Nostra, Lipu, Legambiente, Club Alpino Italiano e Gre per portare avanti le istanze dei più scettici. Il braccio di ferro si è inasprito il 27 agosto scorso, quando sono apparsi i nastri rossi per delimitare le aree di cantiere lungo i sentieri di Monte Mufara. A quel punto, le sei associazioni hanno promosso un ricorso d’urgenza al Tar in cui è stata chiesta la sospensione dei lavori. I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso e il 6 settembre, giorno previsto per la cerimonia della prima pietra, i cantieri sono rimasti fermi.

Le ragioni degli ambientalisti

Nel ricorso, le associazioni ambientaliste hanno evidenziato la mancanza di alcuni documenti necessari per l’avvio dei lavori: “I lavori sono iniziati in assenza di alcune autorizzazioni e pareri (Consiglio Regionale perla Protezione del Patrimonio Naturale, decreto dell’Assessore Regionale Territorio e Ambiente per le opere di interesse statale) – si legge sul sito di Italia Nostra – e soprattutto perché non hanno tenuto conto di un provvedimento della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo che nel 2022 ha dichiarato la improcedibilità dell’opera per violazione di un vincolo di inedificabilità assoluta”.

La vera motivazione che ha spinto le associazioni a rivolgersi al Tar riguarda però altro. A partire dalle ragioni paesaggistiche: “Le opere sono imponenti – scrivono ancora i rappresentanti di Italia Nostra – interessano una superficie di 800 mq con 3.540 mc di volume edilizio e un edificio di altezza di oltre 13 metri fuori terra e prevedono la realizzazione di una nuova strada carrozzabile per l’accesso sulla cima”. Il tutto, ed è questo forse che ha attratto maggiormente le ire degli ambientalisti, nel pieno della riserva naturale delle Madonie e dunque in una zona dove vige il divieto di inedificabilità assoluta.

Il governo punta sull’opera

Non è dello stesso parere Giampietro Marchiori, ceo di Eie Group, una delle aziende impegnate nella costruzione: “Oltre ai vincoli normativi normalmente applicabili, sono stati considerati tutti i vincoli derivati dalla specifica collocazione dell’opera – ha dichiarato all’Ansa nei giorni scorsi – in modo da minimizzare l’impatto dell’opera stessa sia in fase di costruzione che in fase di utilizzo nel rispetto alla normativa vigente”. Marchiori ha poi dichiarato di essersi più volte con le associazioni ambientaliste.

A intervenire sulla vicenda è stato anche il governo tramite Adolfo Urso, ministro delle imprese e del made in Italy. Quest’ultimo ha auspicato una rapida decisione del Tar e ha sottolineato che l’esecutivo documenterà dinnanzi ai giudici “tutte le buone ragioni”: “Non possiamo perdere un’occasione del genere”, ha poi aggiunto in una sua recente nota.

Il rischio di vedere il telescopio in Spagna

Non è un caso se il ministro Urso ha parlato di occasione. Se in Italia il progetto rischia di barcollare per via di un iter su cui pende un ricorso, in Spagna invece c’è chi è pronto a sfruttare la situazione e a portare nelle Canarie il telescopio. Anche perché, nelle more di una mancata riuscita della candidatura italiana, Fly Eye sembrava destinato a prendere la via dell’arcipelago spagnolo.

Comunque la si veda e al netto di riserve di natura ambientale, Roma rischia di essere superata in curva da Madrid. Con tutto ciò che ne consegue a livello di immagine e soft power. E il punto è proprio questo: in Italia è forse diventato impossibile coniugare la costruzione di importanti opere con prescrizioni e legittime riserve di ogni tipo? Se appare una chimera investire su infrastrutture che hanno, tra le altre cose, una precisa funzione scientifica, chissà cosa accadrà se per davvero verrà posta la prima pietra del Ponte sullo Stretto o se un giorno si tornerà a parlare seriamente di nucleare.