Home Economy Perché l’Italia potrebbe decidere la guerra delle auto tra Ue e Cina

Perché l’Italia potrebbe decidere la guerra delle auto tra Ue e Cina

Se la Cina delocalizza la produzione di auto elettriche... in Italia

Perché questo articolo potrebbe interessarti? La Cina è alla ricerca di alleati europei per fare pressione su Bruxelles. Il suo obiettivo? Convincere l’Ue a non imporre i dazi sulle auto elettriche made in China. Il Dragone ha inviato il suo ministro del Commercio nel Vecchio Continente per sondare ogni possibilità. Ma anche per arruolare preziosi partner con i quali isolare i falchi anti cinesi dell’Europarlamento. L’Italia (e non solo lei) potrebbe essere la chiave di volta di Pechino.

La corsa contro il tempo della Cina è entrata nel vivo. Il 25 settembre l’Unione europea ha votato in merito all’eventuale introduzione di dazi definitivi sulle auto elettriche importate da oltre Muraglia. La strada all’entrata in vigore delle tariffe sui veicoli made in China, a partire da novembre, potrebbe dunque diventare effettiva. A meno che una maggioranza qualificata (15 Stati membri che rappresentano il 65% della popolazione dell’Ue) non si opponga alla decisione.

Pechino, non a caso, ha inviato nel Vecchio Continente il suo ministro del Commercio, Wang Wentao, incaricandolo di una delicatissima missione: bloccare la crociata imbastita dall’Ue contro i propri EV.

Se, da un lato, Mr Wang sfrutterà ogni singolo giorno rimasto per continuare a negoziare con l’Ue, dall’altro cercherà di intavolare dialoghi bilaterali con partner di prestigio.

Partner, Italia compresa, interessati a investimenti cinesi sul fronte dell’automotive, che in cambio potrebbero chiudere un occhio il prossimo 25 settembre.

La strategia della Cina per l’auto e il (possibile) ruolo dell’Italia

Fino a questo momento, le proposte correttive avanzate da Pechino sono state tutte bocciate dalla Commissione Europea. Bruxelles sonnecchia, in attesa della fatidica data segnata di rosso sul calendario, rimandando la decisione ai singoli Paesi membri dell’Ue.

È qui che si inserisce la Cina, che può dalla sua “giocare” su 27 tavoli diversi per cercare, in qualche modo, di trovare preziosi alleati con i quali compromettere la seduta del 25 settembre. Pochi giorni fa, per esempio, il Dragone ha ottenuto una vittoria diplomatica.

Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha infatti esortato l’Ue a “riconsiderare” le tariffe sui veicoli elettrici. La Spagna, che ha già accolto a Barcellona Chery Auto, non è però un attore sufficiente, da solo, a spostare gli equilibri europei.

Alla Cina servono altri profili. Non è un caso che Wang sia volato anche in Italia per incontrare il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il quale ha tuttavia ribadito al suo ospite la volontà dell’Italia di collaborare con la Cina. Ma anche quella di sostenere la posizione di Bruxelles in merito ai dazi sulle auto.

Attenzione però, perché da settimane si parla di un interessamento del governo Meloni ad attrarre in patria una casa automobilistica cinese…

Germania vs Ue

Wang sta, in sostanza, puntando l’Italia per un motivo ben preciso. Nel caso in cui la Spagna decidesse davvero di contrastare i dazi, la Germania – il più accanito oppositore delle tariffe – avrebbe al suo fianco un valido alleato.

Ma Berlino avrebbe comunque bisogno di un altro grande Paese dell’Ue da portare nel suo campo (contrapposto a quello “capitanato” dalla Francia). Due le alternative, secondo Politico: la Polonia o l’Italia, appunto.

Roma, come detto, è interessata a corteggiare i produttori cinesi di batterie e veicoli elettrici per convincerli ad investire nelle loro economie. Entrambe hanno una storia di produzione di automobili e adesso sono ansiose di passare ai modelli elettrici.

Per la Cina, la Polonia potrebbe essere molto più dura da decifrare: fa affidamento sugli Stati Uniti come principale garante della sicurezza contro le minacce della Russia. E l’Italia? Un Paese uscito dalla Nuova Via della Seta e poi, nell’arco di pochi mesi, tornato a bussare alle porte di Pechino per chiedere un altro accordo economico, potrebbe essere più facilmente arruolabile.