Dalla ricerca Chiesi Global Rare Diseases arriva una risposta concreta per i pazienti affetti dalla malattia di Anderson-Fabry. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della determina AIFA di luglio 2024, è disponibile pegunigalsidasi alfa, una terapia enzimatica sostitutiva (enzyme replacement therapy-ERT) PEGilata, una forma ricombinante dell’enzima alfa-galattosidasi A umano, espresso in colture di cellule vegetali per il trattamento di pazienti adulti.
La malattia di Anderson–Fabry è una patologia rara ereditaria causata da mutazioni a livello del gene GLA situato nel cromosoma X la cui diagnosi spesso è molto difficile. I sintomi, che si manifestano in genere durante l’infanzia, spaziano dall’insorgere di sensazioni dolorose alle estremità degli arti (acroparestesie) all’ opacità della cornea. Nel corso della vita, la malattia colpisce diversi organi e sistemi (sistema nervoso, reni, cuore, vasi sanguigni) e può provocare insufficienza renale, infarti o ictus. L’incidenza della malattia di Fabry è stimata in un range molto ampio, che va da un caso ogni 55 mila maschi nati vivi sino a uno ogni 3100. Una variabilità legata alla presenza di diverse mutazioni del gene GLA che danno origine a tante varianti fenotipiche, molte delle quali caratterizzate da manifestazioni sub-cliniche o a insorgenza tardiva e da conseguenti ritardi o fallimenti nella diagnosi.
Grazie all’approvazione AIFA all’immissione in commercio della nuova terapia, basata sui dati di diversi studi preclinici e clinici tra cui gli studi di Fase III – in particolare lo studio Balance – i clinici hanno un’arma in più per trattare questa patologia.
“Pegunigalsidasi alfa – commenta Antonio Pisani, professore di Nefrologia Università degli Studi di Napoli Federico II – è stato realizzato per una maggiore stabilità, un’emivita prolungata, una ottimale biodistribuzione e una ridotta immunogenicità. La sua disponibilità aggiunge una nuova possibilità di trattamento dei pazienti affetti da malattia di Fabry, definendo una terapia personalizzata”.
Un risultato raggiunto grazie all’impegno di Chiesi Global Rare Diseases, la Business Unit del Gruppo Chiesi impegnata nella ricerca di soluzioni nuove e innovative nel campo delle malattie rare dove ancora esistono bisogni terapeutici insoddisfatti.
“Con l’approvazione anche in Italia di questo trattamento, i pazienti con malattia di Fabry hanno oggi una possibilità in più per gestire la malattia e migliorare la loro qualità di vita – commenta Giacomo Chiesi, Executive Vice President, Global Rare Diseases delGruppo Chiesi –. Questo risultato, che da una parte ci rende orgogliosi del nostro impegno in ricerca e nel settore delle malattie rare, dall’altra ci riempie di gratitudine nei confronti dei pazienti e dei ricercatori la cui collaborazione ha consentito il raggiungimento di questo importante traguardo”.
“Siamo orgogliosi di aver ottenuto un risultato così importante – dice Nicola Gianfelice, Direttore della Business Unit Rare Diseases di Chiesi Italia -, perché possiamo offrire un aiuto concreto alle tante famiglie che convivono con questa patologia. L’impegno del nostro team di ricerca si traduce così in una risposta mirata ai bisogni dei pazienti e delle loro famiglie, contribuendo a contrastare gli effetti della malattia e, al tempo stesso, a migliorarne la qualità della vita”.
Pazienti che ben conoscono il valore di nuove opzioni terapeutiche come spiega Stefania Tobaldini, Presidente Associazione Italiana Anderson-Fabry (AIAF APS): “Avere a disposizione più opzioni terapeutiche, grazie allo sviluppo della ricerca scientifica, significa avere delle alternative nel caso in cui un farmaco non si dimostri efficace o provochi effetti collaterali, dando così speranza anche a chi ha dovuto sospendere un trattamento. Siamo grati per la crescente attenzione nei confronti di questa patologia rara, perché permette sia di approfondirne la conoscenza sia di mettere a punto soluzioni terapeutiche innovative. – conclude Tobaldini – Le terapie possono cambiare la storia naturale della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie; è necessario però che le Regioni si muovano in maniera uniforme per non creare inaccettabili disparità territoriali”.