Home Primo Piano “Pensavi anche di poter pisciäre?!” Le 10 ore da incubo di una hostess alla Fashion Week

“Pensavi anche di poter pisciäre?!” Le 10 ore da incubo di una hostess alla Fashion Week

“Pensavi anche di poter pisciäre?!” Le 10 ore da incubo di una hostess alla Fashion Week

L’ultima Fashion Week meneghina si è conclusa da mo’. Ma c’è una storia che non ho potuto raccontare: strattoni, insulti, divieti assurdi e sfruttamento nel corso della settimana più cool di Milano

Questa è una storia che non ho potuto raccontare. E che non potrei raccontare nemmeno ora. Allo stesso tempo, credo sia importante farlo. Perché a Milano, e temo non soltanto qui, si ritiene ‘normale’ campare di lavoretti che troppo spesso sono sinonimo di sfruttamento, senza alcun diritto e con compensi promessi alla veloce via Whatsapp, ad andar bene. Non se ne parla troppo spesso, non si denunciano queste situazioni assurde e ai limiti della civiltà per due semplici, orrendi motivi: la paura e l’assuefazione alla paura. La paura di perdere quel “compenso”, quei due spicci di cui sopra e che, in ogni caso, fanno comodo.

La paura di non essere chiamati più per occasioni future, mentre quei due spicci farebbero, appunto, comunque comodo. L’assuefazione alla paura: non importa quanto un incarico possa essere (stato) spaventoso e ingrato, tanto è così che ‘funziona’ il mondo del lavoro. E parlarne, denunciare, oltre a mettere in cattiva luce, non sposterebbe di una virgola il problema. Tutti timori verosimili, ma accettare placidamente di essere nati per subire non porterà parimenti troppo lontano, a mio modesto avviso. Dunque, questa è una storia, questa è la storia di Federica, nome di fantasia, e dell’incubo che ha vissuto prestando servizio come hostess a uno degli eventi più cool dell’ultima Fashion Week milanese.

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Federica ha un lavoro, è una professionista nel suo campo. Come la maggior parte delle persone che tentano di campare a Milano e dintorni, però, non schifa entrate extra. Una settimana prima dell’evento, viene contatta via Whatsapp da una conoscente che le chiede gentilmente disponibilità per 8 ore di lavoro, in una sera del weekend successivo, alla Fashion Week. Le dà tutte le informazioni necessarie: dress code, orario – dalle 17 all’una di notte -, indirizzo centralissimo. Dieci euro lordi all’ora. Non proprio un affare, ma per amicizia e per arrotondare, Federica accetta. Ha già svolto incarichi di questo tipo in passato, è un mondo che le piace, ci torna volentieri.

Tre hostess vs centinaia di invitati: vietato andare in bagno o bere

Appena arriva in sede, alle 16 perché c’è da allestire (“quindi meglio se vieni prima”) subito le risulta chiaro il primo problema: insieme a lei ci sono solo altre tre hostess chiamate ad affrontare la fiumana delle centinaia di invitati che si riverserà lì nelle ore successive. Per questo motivo, ossia sostanzialmente per disorganizzazione e taccagneria, non sono previste “pause”. Nel senso che alle hostess viene chiarito fin da subito il divieto assoluto di andare in bagno, di bere, di mangiarsi anche solo uno snack. Se si allontano dal banco di un paio di passi, vengono redarguite in malo modo: “Dove cazz0 vai?!”. Federica controlla la lista degli invitati, evidenzia i nomi di chi arriva, consegna gadget alla velocità della luce, ma non è mai abbastanza rapida per i secondini, pardon gli organizzatori, che stanno lì a monitorare ogni sua mossa. Le ore passano, Federica deve fare pipì. Non sa dove sia il bagno, perché non le è stato detto, ma riesce a legare con un ragazzo della security che glielo indica. Federica, approfittando di un attimo di distrazione da parte dei secondini, ci va.

“Ma davvero pensavi di poter pisciäre?”

Quando torna, viene aggredita e strattonata, davanti a tutti gli ospiti in arrivo: “Ma davvero pensavi di poter pisciäre?! Te lo avevamo detto, tu devi stare qui! Cosa non ti è chiaro?? Sarai andata in bagno a pippäre, altrochè!”. Federica torna al suo posto, avvilita. Nelle ore successive, il ragazzo della security che le aveva indicato il bagno le allunga una mezza naturale già iniziata che lei divide con le altre ragazze coinvolte in questo incubo di isteria e disorganizzazione. Tutte bevono abbassandosi, nascondendosi dietro al banco, fingendo di prendere i gadget da dare agli invitati. L’evento si conclude alle 2.30 (non all’una, come da accordi) e Federica torna a casa, piuttosto incazzata.

Il giorno dopo mi scrive, mi manda vocali a raffica, mi dice che il braccio le fa ancora male per gli strattoni che ha ricevuto come ‘punizione’ per essersi arrischiata ad andare in bagno. Mi racconta tutto, insomma, e io le do piena disponibilità a pubblicare, anche in forma anonima, questa storiaccia in cui si è ritrovata coinvolta. “Ci penso”, mi scrive. E ci vuole pensare per vari motivi: erano soltanto in quattro, non sarebbe poi così difficile, per gli organizzatori, risalire a chi sia ‘la talpa’ che ha voluto raccontare queste 10 ore da incubo alla Fashion Week. Inoltre, ha paura di perdere i soldi, 80 euro lordi, accordati per quel lavoro, dopo tutta la fatica fatta e pur sapendo che le ore in più, due e mezzo, non le verranno conteggiate. Non c’è un contratto, soltanto un messaggio via Whatsapp che accenna al pagamento. La situazione è già abbastanza critica così, non se la sente di rischiare. L’amica che l’ha tirata in mezzo, poi, tiene famiglia e lei non vuole “crearle problemi” con l’agenzia presso cui è impiegata da qualche mese. Federica, dunque, mi dice di no, meglio lasciar perdere, preferisce dimenticare la brutta esperienza e andare avanti come se nulla fosse successo.

Il mondo del lavoro è fatto di tantissime Federica. Ed è un incubo

Io, invece, preferisco di no. Preferisco di no, e spero che Federica non me ne vorrà, perché questa storia non è un caso isolato e non riguarda certamente soltanto l’ambito della moda. Il fatto è che esiste un’intera generazione, forse anche più di una, cresciuta sentendosi ripetere di non essere “choosy” sul lavoro. E che da quei tempi a oggi, continua ad accettare, a subire qualunque tipo di sfruttamento, pur di portare a casa un pugno o due di croccantini possi “che fanno sempre comodo”. E “che fanno sempre comodo” perché un lavoro stabile, pure se sei professionista plurilaureata, non c’è quasi mai, non davvero. Così, spesso e quasi volentieri, subiamo la qualunque senza il coraggio di lamentarci perché “è così che va per tutti” e perché tanto non è che le cose, oramai, possano cambiare. Siamo rassegnati, assuefatti, viviamo in una bolla ingrata di precariato e merdä da mandare giù all’interno della quale tutto a consentito. Non certo a noi, ma a chi ci dà “lavoro”, a chi ci sfrutta come se ci stesse facendo pure un favore.

Non possiamo ribellarci per non rischiare di perdere occasioni future che saranno, a spanne, altrettanto mal pagate e incivili ma che ci consentiranno di mettere in saccoccia qualche spiccio extra “che fa sempre comodo”. Pensate a Federica, pensate al fatto che di Federica ce ne sono tantissime e tantissimi, pensate che il mondo del ‘lavoro’ funziona troppo spesso così ogni giorno. E a quanto questo incubo sia accettato come l’esistenza delle strisce pedonali. Pensateci, soprattutto, la prossima volta che vedrete ventenni fare cose idiote su TikTok e guadagnare cifre comunque interessanti sopra la propria manifesta demenza. Forse vi verrà da pensare, per una volta, che purtroppo e tutto sommato, abbiano ragione loro. Perché un mondo del lavoro sano e dignitoso esiste soltanto nei libri fantasy scritti da chi dà consigli sul ‘wellbeing’ in azienda alle multinazionali. E nessuno, davvero nessuno, desidera trovarsi a essere, un giorno o l’altro oppure già oggi, Federica. Nemmeno, ovviamente, Federica. Ma Federica di alternative non ne ha. Al momento, sta aspettando che quegli 80 euro euro lordi compaiono sul suo conto. Dovrebbe volerci soltanto qualche mese.

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