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Lo Ior fa sul serio: licenziati i due dipendenti che si sono sposati

Lo Ior fa sul serio: licenziati i due dipendenti che si sono sposati

La vicenda di due dipendenti dello Ior rimasti a casa dopo essersi sposati. Così vuole il regolamento interno che deriva da una legge voluta da Benedetto XVI. Inutili sinora gli appelli a Papa Francesco

Lo Ior non è affare di famiglia, e chi ci prova perde il posto. Il giro di vite dell’Istituto per le Opere di Religione – quella che, a torto, è considerata la Banca vaticana (che è invece l’Apsa, Amministrazione patrimonio Sede Apostolica) contro i matrimoni tra dipendenti ha prodotto le prime due vittime: un lui e una lei, difesi dall’avvocato esperta in diritto canonico e vaticano Laura Sgrò, che si sono confessati (è il caso di dire) a Ilaria Sacchettoni sul Corriere della Sera del 7 ottobre. Lui e lei, entrambi un matrimonio a testa sciolto dalla Sacra Rota, hanno tre bambini e dal 1° ottobre sono a casa. Motivo: quando i due hanno celebrato le loro nozze in agosto, il mese dopo lo Ior ha ricordato una norma del suo Regolamento interno (introdotta a maggio di quest’anno, filiazione della legge voluta da Benedetto XVI nel 2013 sulla trasparenza bancaria) in base alla quale viene proibito il matrimonio tra dipendenti.

Basta col familismo, ma…

L’ANSA aveva riportato la motivazione: “L’obiettivo dell’Istituto, attraverso questa norma, è esclusivamente quello di garantire condizioni di parità di trattamento tra tutto il personale dipendente”. Per cui: “Dal momento che l’Istituto riunisce poco più di cento di dipendenti in un’unica sede, senza filiali, tal norma è infatti fondamentale per prevenire sia inevitabili conflitti d’interesse di tipo professionale tra gli aspiranti coniugi interessati, sia l’insorgere di possibili dubbi di gestione familistica tra la propria clientela o il grande pubblico”.

Fin qui tutto bene (insomma). Il punto è che sebbene sia permesso, in questo caso, che uno dei due scelga se restare a lavorare facendo quindi licenziare l’altro, qui i due coniugi prima si sono visti revocare una settimana di ferie già programmate per andare a sciare con i bambini, dopodiché lei è stata spostata dall’ufficio pagamenti all’ingresso diventando una specie di portinaia (unica donna, precisa al Corriere, su 100 dipendenti maschi); e per finire, quando la storia dei due si è saputa in giro e ne ha scritto qualche quotidiano, la sanzione disciplinare: 700 euro tolti a lei dallo stipendio. Olè.

Lo Ior sapeva delle nozze da mesi

C’è da notare un fatto. Si sapeva, all’Istituto, che i due si sarebbero sposati. Già nel febbraio scorso era noto che i due stavano per convolare a giuste nozze ma la sorpresa è arrivata il 1° ottobre: convocazione in ufficio alle 9 del mattino, lettera di licenziamento e una giornata di lavoro terminata alle 16.30 con regolare restituzione del tesserino. E ciaone, verrebbe da dire: i due però hanno deciso di fare ricorso all’autorità con potestà piena, suprema e immediata contro la quale non è ammesso ricorso alcuno, cioè il Papa.

È stata lei a scrivere a Francesco supplicandolo di restituire il lavoro a entrambi. Per il momento tutto tace da Santa Marta ma si spera nel lieto fine, in un “e vissero felici e contenti” che però tarda ad arrivare. Al punto che, riferisce l’ANSA, è intervenuta anche l’ADLV, l’associazione dei dipendenti vaticani, che ha espresso la sua solidarietà alla coppia, riferendo di avere tentato una mediazione con l’istituto ma senza ottenere risultati.

I sindacati vaticani: “Va aggiornato il diritto del lavoro”

Con un comunicato pubblicato sul proprio sito, l’ADLV ha detto parole pesanti esprimendo solidarietà agli sposini dello Ior ma augurandosi, inoltre: “Che in Vaticano, i regolamenti non prevalgano sui sacramenti”. Non solo: l’associazione vaticana (che è una sorta di sindacato d’Oltretevere) il regolamento ha (ed è pure qui il caso di dirlo) un peccato originale: “Nei fatti ha effetti retroattivi, considerato che i nostri due colleghi, quando è uscito il nuovo regolamento, avevano già fissato data e luogo delle nozze”. Insomma, brutta cosa diremmo. E l’ADLV promette: “Da tre anni ormai stiamo lavorando affinché anche in Vaticano si affermi un diritto del lavoro che tenga conto delle legittime aspirazioni delle persone e rafforzi il nostro senso di comunità. Con l’aiuto di tutti continueremo ad agire, ci rafforzeremo come organismo voluto da San Giovanni Paolo II, affinché l’Adlv sia attore nella concertazione in tutti i luoghi di lavoro”.