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Elezioni Usa 2024, non solo Musk: “La Silicon Valley ha perso la sua verginità politica”

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Elon Musk “loves” Donald Trump: il numero uno di X e SpaceX è sceso apertamente in campo a favore del candidato recpubblicano, preoccupato che alla Casa Bianca possa invece insediarsi Kamala Harris, come abbiamo raccontato su True-News. Ma il più famoso big del tech è solo uno dei tanti che, in modo più o meno esplicito, preferiscono vedere eletto il tycoon piuttosto che rischiare una maggiore regolamentazione del settore da parte dei Democratici. Lo sottolinea in questi giorni John Naughton, professore di “public understanding of technology” alla Open University, nella sua analisi pubblicata sul quotidiano Guardian, evidenziando un movimento in realtà in corso già da tempo nella Silicon Valley.

Oggi “la tecnologia è politica”, scrive Naughton, perché un piccolo numero di multinazionali ha ormai acquisito un rilevante peso all’interno delle democrazie liberali. Restando su Musk, al di là di X, possiede anche la società Space X, che fornisce la connettività Internet Starlink alle truppe ucraine sul campo di battaglia, mentre il suo razzo è stato scelto dalla NASA come veicolo per far atterrare i prossimi americani sulla Luna.

Elezioni Usa 2024, la Silicon Valley si schiera… 

Non è stato sempre così, anzi. In passato tra l’industria tecnologica e la politica è regnata l’indifferenza per lungo tempo, cosa che ha permesso a colossi come Google, Facebook, Microsoft, Amazon e Apple di crescere fino a raggiungere proporzioni gigantesche in un ambiente politico straordinariamente permissivo. Un “sonno normativo”, come lo definisce Naughton, che è terminato sotto la sorveglianza di Joe Biden, tanto che lo scorso agosto il Dipartimento di Giustizia ha clamorosamente vinto una causa antitrust in cui il giudice ha stabilito che Google era effettivamente un “monopolista”, che aveva adottato misure anticoncorrenziali per preservare la sua quota del 90% nella ricerca. 

Chi sta con Donald Trump e chi con Kamala Harris

“Lo shock di questo verdetto per l’industria tecnologica è stato palpabile, e ha portato alcuni esponenti della Silicon Valley a pensare che forse, dopo tutto, eleggere Trump potrebbe non essere una cattiva idea”, scrive Naughton. In primis Musk, ma anche Marc Andreessen, fondatore di Natscape, si è esposto pubblicamente, mentre ci sarebbero almeno altri 14 magnati della tecnologia che stanno fornendo un supporto più discreto. 

Non sono pochi nemmeno i leader tecnologici che, seppure tardivamente, hanno preso posizione a favore di Kamala Harris, ma alcuni non nascondono le loro riserve, come come Reid Hoffmann, fondatore di LinkedIn, che ha donato milioni di dollari per la campagna elettorale, ma ha chiesto il licenziamento di Lina Khan dalla FTC – Federal Trade Commission di cui è presidente. “Una persona che non aiuta l’America”, l’ha definita davanti alle telecamere della CNN. “L’antitrust va bene… Fare la guerra no”.

“La Silicon Valley ha persona la sua verginità politica”

La Silicon Valley, insomma, “ha perso la sua verginità politica”, dice Naughton,   aggiungendo che le società di criptovalute stanno investendo straordinarie quantità di denaro nella campagna elettorale. “Più di cento milioni di dollari”, secondo The New Yorker, sarebbero stati versati a favore dei candidati cripto-friendly attraverso i SuperPACS, ovvero comitati politici indipendenti di sola spesa che possono ricevere contributi illimitati da individui, aziende, sindacati e altri comitati di azione politica, allo scopo di finanziare spese indipendenti e altre attività politiche indipendenti. “La cosa interessante è che questi soldi sembrano essere destinati non tanto a influenzare chi vincerà la presidenza, quanto a garantire che le persone “giuste” vengano elette alla Camera e al Senato”, conclude Naughton.

Per esempio, a essersi esposti ci sarebbero i gemelli Winklevoss, ovvero i “Cryptobros”, come scrivevano i giornali già quest’estate. Un altro magnate che si è schierato per Trump è il co-founder e presidente di Palantir Peter Thiel: la sua scelta è stata invece criticata dall’amministratore delegato Alex Karp, di orientamento democratico, secondo il quale questo esplicito posizionamento sarebbe dannoso per l’azienda di analisi dei dati.