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Quando la religione usa l’AI

Quando la religione usa l’AI

Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Sono sempre di più i progetti sperimentali che uniscono religione e intelligenza artificiale. Dall’ologramma che parla come Gesù al chatbot addestrato sui documenti del Magistero, dalle app che fanno pregare per le anime del Purgatorio agli assistenti spirituali generati dall’AI. Quali interrogativi etici sollevano? Ne abbiamo parlato con Martino Wong, creator che analizza il rapporto tra tecnologie, AI e società.

In una chiesa Svizzera un confessionale è stato allestito per ospitare un chatbot basato sull’intelligenza artificiale programmato per parlare come Gesù. Marco Schmid, il teologo che l’ha ideato, ha specificato che il progetto mira a far riflettere sull’incontro tra fede e tecnologia, non a sostituire o sveltire le confessioni fatte con un presbitero. L’ologramma della cappella di San Pietro – la più antica chiesa cattolica di Lucerna – genera quindi risposte in un centinaio di lingue e con diverse espressioni facciali, per interagire con più persone possibili. Gli è stato dato il nome di “Deus in Machina” ed è stato sviluppato insieme a un team dell’Immersive Realities Research Lab dell’Università di Lucerna.

Il chatbot è stato istruito con i dati provenienti da testi religiosi presenti online. L’ideatore, infatti, ha dichiarato che le sue risposte potrebbero non corrispondere del tutto agli insegnamenti cattolici, ma che in tutti i test condotti non sono state pronunciate eresie. La giornalista Anna Jungen ha provato a dialogare con questo “AI-Jesus” e riporta la conversazione avuta con l’ologramma: “E cosa mi turba il cuore? Gli racconto della mia sfida di scrivere un articolo su una versione AI di Gesù, e quindi di affrontare la questione di cosa significhi quando religione e tecnologia si incontrano. Il Gesù-AI mi incoraggia. […] la conversazione con l’avatar è affascinante: risponde alle mie domande in modo significativo, empatico e intelligente. A volte, tuttavia, è banale, ripetitiva e trasuda una saggezza che a volte ricorda più i cliché del calendario che le intuizioni teologiche”.

Non è l’unico esperimento che utilizza l’intelligenza artificiale in contesti religiosi. A ottobre 2024 una chiesa cattolica polacca ha inaugurato la primananocappella nella città di Poznań. I membri della parrocchia usano infatti un’app per accedere a uno spazio aperto 24 ore su 24 per la preghiera e l’interazione umana, ma che è dotato anche di un assistente AI basato su ChatGPT. Al chatbot gli utenti possono porre domande sulla fede. In questo caso il parroco Radek Rakowski si è ispirato ai negozi senza personale in cassa lanciati da Żabka, la più grande catena di minimarket della Polonia. “In uno Żabka Nano possiamo fare la spesa 24 ore su 24 e abbiamo pensato di fare qualcosa di simile nella nostra parrocchia”.

Nel 2023 il team sviluppatore di Magisterium AI ha addestrato un’AI su un database di 456 documenti della Chiesa, tra cui le Scritture, il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Codice di Diritto Canonico. Il risultato è un chatbot che risponde a domande su fede e teologia e aiuta nella stesura delle omelie. La newsletter The Pillar l’ha messo alla prova e ha concluso che: “Magisterium AI è chiaramente “colta”, ha molte risorse a sua disposizione ed è in grado di accedervi rapidamente. A volte riesce piuttosto bene a rigurgitare informazioni da quelle risorse. Ma la teologia e il diritto canonico sono complicati e la macchina commette qualche errore da principiante. A volte confonde concetti correlati. A volte dice troppo e lo dice male. A volte la macchina sbaglia completamente e a volte le sue risposte sono decenti, ma se lo chiedete a noi, non è ancora pronta per il prime time. Ciò non significa che non lo sarà. La tecnologia AI si sta evolvendo rapidamente”.

Inoltre si diffondono strumenti come l’app Il legame, che invita gli utenti a pregare per le anime del Purgatorio, con l’obiettivo di liberarle e avvicinarle al Paradiso. L’app propone preghiere specifiche, visualizza un contatore delle anime liberate e consente di formare una rete di preghiera condivisa, basandosi sull’antica pratica cattolica della preghiera di suffragio, reinterpretata attraverso la tecnologia moderna.

Quali interrogativi sull’equilibrio tra fede, digitalizzazione e dinamiche relazionali sollevano questi progetti? Ne abbiamo parlato con Martino Wong, creator che analizza il rapporto tra tecnologie, AI e società.

Perché pensi che stiamo sviluppando intelligenze artificiali con cui “parlare” come se fossero esseri umani? Secondo te, cercare una connessione con un’AI riflette un bisogno umano di relazione?

Direi decisamente di sì! In realtà, lo vedo su due fronti diversi: da una parte operativo, perché una delle grandi promesse delle intelligenze artificiali è proprio quella di avere una macchina che “ti capisce” e che riesca a interpretare ciò che vuoi con una certa complessità come farebbe un essere umano. 

Non è detto che ci riesca, però sicuramente c’è una tensione in quella direzione: mentre prima il paradigma era quello di software con tanti pulsanti, bottoni e tendine, i vari chatbot AI ci mettono davanti una finestra bianca in cui scrivere qualsiasi cosa, con pro e contro.

Dall’altra probabilmente c’è anche l’esplicito richiamo a un bisogno “emotivo” di relazione. OpenAI, una delle aziende leader del settore, qualche mese fa ha presentato una modalità di interazione vocale con ChatGPT in tempo reale. Il CEO a riguardo ha fatto degli espliciti riferimenti a Her, il film di Spike Jonze in cui il protagonista si innamora dell’intelligenza artificiale del suo computer. E ci sono anche molte app sugli store come Replika che propongono un “amico AI” se non addirittura un partner sessuale o sentimentale… 

Progetti come questi ti sembrano più uno strumento innovativo o una commercializzazione della spiritualità?

Posso dire entrambi? Penso sia un esperimento interessante per il campo di studi delle relazioni umano-bot che secondo me può offrire spunti. Se di primo impatto una prospettiva scettica potrebbe farci pensare che sia inutile parlare con un qualcosa che evidentemente non è umano e non ha cognizione, emozioni o sentimenti, ci sono degli studi che ipotizzano che delle interazioni umano-chatbot possano aiutare a elaborare situazioni difficili.

Allo stesso tempo ci vedo il rischio di rendere in questo caso la spiritualità un prodotto, di favorire quella tendenza a “ottimizzare” e impacchettare in una scatola replicabile delle interazioni che forse è anche bello siano variegate e imprevedibili. 

Pensi che iniziative come queste possano modificare il modo in cui vediamo noi stessi, la fede o le relazioni? Ci sono rischi nel delegare aspetti così personali e intimi, come la spiritualità, a una macchina?

Penso che il nucleo potenzialmente positivo dell’interazione con sistemi AI sia proprio su noi stessi: ad oggi li vedo come uno specchio che possiamo usare per riflettere su noi stessi, ma il lavoro è sempre nostro. Un chatbot potrebbe darci degli spunti, ma dobbiamo essere noi a riconoscere se hanno un valore. 

Viceversa, uno dei rischi che ci vedo è proprio quello di antropomorfizzare qualcosa che umano non è: un chatbot non ha opinioni, non prova emozioni e non ha cognizione di cosa sia vero, eppure può fingere e imitare tutte questi aspetti dell’umano. Per questo un’AI non è bene che “decida” qualcosa: siamo noi che dobbiamo interpretare e capire cosa è corretto e reale.

L’altro rischio che ci vedo, più sottile e forse per questo più importante, è quello di stagnazione: per come funzionano ad oggi i chatbot, non possono che replicare la cultura passata. Se io chiedo a un chatbot “spirituale” di rispondermi su temi che sono nel dibattito attuale, mi risponderà con quella che è la risposta “popolare” del passato, e faticherà a comprendere la diversità di posizioni legittime che possono esserci su un tema. 

Non solo, rifletterà i pregiudizi e i bias del passato e dei testi su cui è stato addestrato. Ma la cultura la facciamo noi dialogando nel quotidiano, anche nella spiritualità, soprattutto se parliamo di un contesto “collettivo” come quello della Chiesa, basti pensare al tema dei sinodi: il rischio allora è di cristallizzare e rendere stagnante la nostra cultura o quantomeno di rallentarne la costruzione collettiva, perché questi sistemi non riescono a essere aggiornati con la rapidità con cui possiamo cambiare noi come collettività.