Sono già stati usati all’aeroporto di Fiumicino per i vacanzieri provenienti da Paesi a rischio. Ora si muove anche la Lombardia a grandi falcate verso i test rapidi disponibili sul mercato. Vantaggi? Immediatezza della risposta. Rischi? Affidabilità lievemente più bassa rispetto ai test molecolari che dovranno comunque essere utilizzati per una conferma successiva. In particolare quello che in gergo si chiama RT-PCR e che attualmente è considerato dalla comunità scientifica il “gold standard”. Nel bilanciamento delle necessità ha prevalso la prima esigenza: velocità nell’individuare il maggior numero possibile di infetti, ponendo gli stessi in isolamento ed impedendo così l’espansione del contagio. “Questa, al momento, è l’unica strategia percorribile, oltre alle misure preventive come distanziamento sociale o la disinfezione” ha spiegato ad Affaritaliani.it Milano il dottor Giuseppe Catanoso, direttore sanitario dell’Ats Insubria e, in questo ruolo, il dirigente con competenza su Malpensa. Velocità che serve a “convivere con il virus” come da formula ormai assodata nel dibattito: negli aeroporti, nelle stazioni, nelle scuole, sui luoghi di lavoro. I test rapidi ora sul mercato ricercano l’antigene (cioè una parte del virus) nel tampone rino-faringeo.
C’è di più. Alla rapidità si associano anche costi nettamente più bassi rispetto al test molecolare e, proprio per questo, la possibilità di utilizzarli in tutti quei contesti dove è necessario limitare al massimo il tempo di attesa d’una risposta che poi impone un periodo di quarantena. Centri commerciali, fabbriche appunto e unità produttive simili, dove il pericolo sanitario si somma e confligge con il rischio economico di tenere ferme le produzioni oppure dipendenti e lavoratori bloccati a casa. Dopo la Regione Lazio anche la Lombardia si muove quindi in questa direzione. Il regolatore deve fare i conti con un mercato di settore in fibrillazione: si inseguono infatti quotidianamente notizie di aziende che hanno presentato prodotti che hanno ottenuto l’approvazione Ue oppure della FDA (la Food and Drug Administration americana), con una corsa allo sviluppo e alla commercializzazione senza freni di nuovi test per la diagnosi, rapida e non, del SARs CoV 2. Per gli addetti ai lavori però c’è un problema: “L’affidabilità dei test non è appurabile all’uscita sul mercato – spiega il Direttore sanitario dell’Ats Insubria –. L’esperienza ci ha insegnato che solo una attenta analisi condotta confrontando svariati studi scientifici indipendenti, la cosiddetta metanalisi, può rilasciare un vero “patentino” di affidabilità”. “La scelta di Regione Lombardia di non usare i test rapidi all’aeroporto di Malpensa è stata dettata dalla impossibilità di avere test con una affidabilità sufficientemente dimostrabile. Adesso, a distanza di un solo mese, questi test affidabili ci sono e, come già detto, sono in via di acquisizione da parte di Regione”. Chi paga dazio sono i produttori dei sierologici.
Oltre al vincolo strutturale di poter essere utilizzati in contesti ospedalieri o di triage, i sierologici evidenziano nel sangue la presenza di anticorpi diretti contro antigeni del virus andando a mostrare, in teoria, un contatto recente con lo stesso. Tuttavia “avere gli anticorpi non significa assolutamente essere infetti e, quindi poter contagiare” chiude Giuseppe Catanoso. “Posso affermare quanto dico con assoluta cognizione di causa. Nella Ats Insubria, prima dell’inizio delle scuole, abbiamo testato sierologicamente circa 20.000 soggetti tra personale docente e non, di questi, circa 400 sono risultati essere positivi cioè avevano gli anticorpi. Tali soggetti sono stati sottoposti a tampone rino-faringeo con test molecolare e nessuno è risultato positivo, cioè, nessuno era potenzialmente infettante. Possiamo dire quindi che la diagnosi di infezione da SARS CoV 2 non si fa con la sierologia”.