Cinque domande, un minuto per rispondere a ciascuna. Solo tu con la fotocamera che ti guarda dritta negli occhi e nessuno dall’altra parte. “Cosa sai di Victoria’s Secret?” ti domanda il computer. L’occasione è l’apertura a Milano del nuovo Flaghship Store del marchio statunitense noto per l’intimo femminile. Lo sviluppo della rete commerciale in Italia affidato al Gruppo Percassi che ha trovato un luogo pregiato: corso Vittorio Emanuele a Milano. L’investimento non viene fermato nemmeno dal Covid. Nelle settimane che precedono l’apertura dello store Linkedin e le piattaforme di ricerca lavoro pullulano di annunci. Per gli addetti del settore moda, piegato dalla pandemia in una città che ha già visto aumentare la disoccupazione di due punti nonostante il blocco dei licenziamenti, è una speranza: nel settore si sa che Percassi offre condizioni migliori di tanti concorrenti, il rispetto dei contratti nazionali e degli inquadramenti, la possibilità – forse – di fare carriera internamente al gruppo di origine bergamasca che fra marchi in house e sviluppo di reti domina la scena con Lego, Starbucks, Gucci, Kiko Milano, Victoria’s Secret, appunto, e altri.
C’è una novità. Il colloquio di lavoro te lo fa un computer. Almeno al primo step. “Cosa porteresti di positivo in Victoria’s Secret?” ti chiede. “Ho iniziato a rispondere alla prima domanda – dice un commesso alla ricerca di lavoro, da anni nel settore –. A un certo punto mi è uscito il countdown: il video sta per terminare tra 10, 9, 8…”. “Sono andato nel panico” taglia corto il lavoratore “e ho mollato tutto anche perché se sbagli a registrare non puoi tornare indietro, gli arriva così com’è. È andato avanti con le domande e non so cosa abbia registrato”. La sua esperienza? “Non mi pare un approccio serio. Capisco la pandemia ma stai aprendo il Flagship di un’azienda importante, lo stai progettando da anni e ti affidi a domande da un minuto senza nemmeno degnarsi di chiamarmi su Skype”.
Ci sono altri lati della medaglia. È la nuova frontiera: ricerca personale, incontro fra domanda e offerta di lavoro, mediate di AI: chatbot, interviste video in differita, pianificazione dei colloqui e valutazione del candidato automatizzate. Obiettivo? Migliorare i processi aziendali di selezione delle candidature, la Talent Expérience, l’Employer Branding. Dubbi? Tecnico-legali su privacy e trattamento dei dati in Europa come negli Stati Uniti che veri e propri buchi normativi o regolatori. Critiche? Qualcuna. Banalmente c’è chi si vergogna. C’è chi in telecamera mette in atto comportamenti sociali diversi e magari penalizzanti. Ma è su certi “bug” di sistema che si è sviluppato un vero e proprio dibattito internazionale. Amazon nel 2018 ci ha letteralmente perso la faccia. È venuto fuori che il software del gigante di Jeff Bezos realizzato per digitalizzare il processo di recruiting non amava le donne. Era stato “addestrato” sui curricula inviati da uomini. Un riflesso condizionato “del predominio maschile nell’industria tecnologica” ha scritto Reuters. Ci sono aziende che producono software per la valutazione di tono e timbro di voce secondo criteri che hanno fatto sospettare una penalizzazione in partenza del genere femminile. Oppure della dizione, del movimento degli occhi, delle micro espressioni facciali. Come nella fortunata serie Lie to Me dove un inedito Tim Roth del 2020 applica la scienza di leggere il volto non al crimine ma all’HR. Sull’altra sponda dell’Atlantico c’è già chi si domanda se gli algoritmi non siano stati programmati per avere qualche bias di conferma. Per esempio sul fronte razziale.
Aspetti positivi? Tempo risparmiato per tutti, per cominciare. Spostamenti dimezzati per i colloqui che in tempi di sensibilità ambientale le aziende quantificano e comunicano anche in termini di grammi di CO2 in meno prodotta pro capite. Tra luci e ombre l’innovativa pratica è ormai prassi di grandi gruppi internazionali: Goldman Sachs, JP Morgan, Unilever, Société Générale, Airbus, addirittura le Nazioni Unite. È sbarcata anche in Italia. Esselunga ha cominciato nella primavera 2019 e ne ha fatto ampio uso sotto lockdown per gestire l’enorme ricambio di personale. Dentro la cornice di un progetto che mira a passare dai 20mila colloqui fisici a meno di 4mila l’anno a parità di assunzioni (2mila); Leroy Merlin; ING Bank; Amplifon ci pensa da tempo. Tantissime altre.
Una recruiter la spiega dritta: “Un selezionatore riceve in media 800 candidature. Quelle sulla carta buone sono circa il 5 per cento, quindi 40. Non le puoi vedere tutte. Io usavo il metodo di chiedere la Ral (Retribuzione annuale lorda, NdR), in quel modo le dimezzavo senza perdere tempo né farlo perdere a persone che prendono più di quanto potrei offrire. Le restanti 20 le chiami e arrivi così alle 5 che magari incontrerai”. Lo spaccato del mondo “tradizionale” ora fa i conti con algoritmi, software e intelligenze artificiali. “Con questi video – dice – fai una selezione all’origine. Personalmente non mi fa impazzire perché rischi di premiare i buoni comunicatori che non sono necessariamente i migliori”. Tutto da buttare? Proprio per nulla. “Sono tornata sui CV selezionati da un algoritmo che li aveva disposti in un ranking per parole chiave. Ha effettuato le stesse identiche mie scelte, non ci volevo credere”. Quindi funziona? Valutazioni diverse e spaccature scorrono anche fra gli addetti ai lavori. “Tremendo sistema. Le giornate a fare pre-screening al telefono sono una palestra per tutti” dice ad Affaritaliani.it Milano una psicologa delle risorse umane dentro uno dei più importanti gruppi industriali d’Italia.
Questione di punti di vista. “La pandemia ha solo accelerato processi sotterranei già in atto” dice ad Affaritaliani.it Milano Mimmo Santonicola, Sales Manager per l’Europa del Sud e l’America Latina di EasyRecrue, società leader nel settore digitalizzazione dei processi di recruiting. Nata come startup nel 2013 da investitori francesi che hanno puntato sull’azienda fiches per 11 milioni di euro, oggi è una scale-up europea che si occupa proprio di tecnologie di pre-screening, con quasi 500 clienti nel mondo. Alcuni nomi? Allianz, Pwc, Roche, Sanofi, Michelin, Ferrovie dello Stato. In Brasile nel bel mezzo della pandemia hanno permesso l’assunzione di 1550 addetti nel settore security. In Italia hanno messo a punto un sistema di ricerca del personale per una catena come Domino’s Pizza attraverso una forma “light” di intelligenza artificiale: una chatbot, alla stregua di quelle che si occupano di assistenza clienti soppiantando i call center (Amazon, Enjoy, le società del delivery) e che orienta i candidati nel colloquio di lavoro digitale inserendo dei criteri, banali ma necessari. Nel caso di Domino’s Pizza? La maggiore età e il possesso della patente di guida. Meglio un algoritmo dell’essere umano quindi? “L’algoritmo viene addestrato dagli esseri umani” dice Santonicola dalla sua postazione di lavoro allo “Spaces Porta Nuova” di Milano mostrando un’interfaccia che permette ai recruiter di valutare il processo in modo che l’Intelligenza Artificiale “impari” dai propri errori e si corregga. Il manager ha lasciato una posizione di livello in Linkedin per lavorare nella giovane azienda digitale. E i numeri del fenomeno sono dalla sua parte: le statistiche interne alla società e raccolte in un e-book divulgativo fotografano nel 2019 per EasyRecrue 150mila feedback da parte dei candidati, pari a quelli dei 5 anni precedenti. In 180 Paesi nel mondo sono 793mila le persone che hanno sperimentato il video-colloquio in differita e più della metà (408mila) hanno compilato un questionario di soddisfazione. Viene posta molta attenzione sui millenials che meglio digeriscono la modalità. È quello che loro chiamano “new normal” con cui aziende e lavoratori si devono confrontare durante e dopo il Covid. Un “new normal” ancora da venire. Perché dei loro clienti globali solo il 5 per cento usa intelligenze artificiali in toto sulla piattaforma, affiancando invece i processi di selezione con forme miste o ibride e dove il lato “umano” ancora oggi conta di più. “Tutto ciò distrugge la candidate experience” ribadisce la psicologa del grosso gruppo industriale italiano. “Credo il vero dibattito interessante – risponde a distanza il manager di EasyRecrue – sia disegnare processi intorno alle persone, ed attivare le strategie di recruiting proprio per una migliore ‘candidate experience’ nel momento storico, non solo per tagliare costi”. Quattro testimonianze da un mondo del lavoro che cambia. La stessa medaglia, tante facce. Tutte immortalate in fotocamera.