I due messaggi Whatsapp ricevuti dal sindaco Sala quando il risultato della tornata delle Amministrative era ancora caldissimo spiegano bene come Inter e (soprattutto) Milan considerino il tempo della ricreazione terminato. Il dossier San Siro torna centrale nella vita politica milanese e lo stop imposto dalle elezioni, che avrebbe reso impossibile ogni passo concreto visto che si deve passare dal Consiglio comunale e non era immaginabile farlo a scadenza di mandato. Inter e Milan si aspettano che ora si corra senza perdere più tempo e lo hanno scritto, seppure con toni istituzionali, all’inquilino di Palazzo Marino che nelle prossime settimane dovrà formare la sua Giunta e quindi riprendere il discorso interrotto anche con le società calcistiche della città. Il pressing non è più nemmeno discreto, anzi, viene reso pubblico in ogni occasione possibile perché le scadenze cominciano ad avvicinarsi. Milano ospiterà la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi nell’inverno 2026 e, quindi, deve chiudere tutto entro il 2025 per non rischiare di dover incassare un altro rallentamento che sarebbe catastrofico per l’intero progetto da 1,2 miliardi di euro, già ampiamente ritoccato per venire incontro alle esigenze del Comune.
Non solo. Inter e Milan hanno già speso parecchi soldi in progettazione e consulenze e non vogliono fare la fine di Pallotta a Roma. Quindi il presidente del Milan Paolo Scaroni, vero king maker della partita anche per i suoi rapporti costruiti in decenni di attività politica e manageriale, è uscito allo scoperto in fretta spiegando che la conferma di Sala al primo turno viene considerata una buona notizia perché consente di risparmiare due settimane e di ripartire dal punto dove ci si era fermati. Che è l’accordo su volumetrie e tutti il resto (“Il sindaco ci ha detto che questo progetto va bene”) e anche la certezza che Sala saprà tenere a bada le varie anime della sua coalizione dove ci sono i Verdi che non hanno aspettato nemmeno un minuto a ribadire la loro posizione per il ‘No’ all’abbattimento del Meazza e per la realizzazione di tutto il distretto senza il quale Elliott e Suning non attiveranno mai l’investimento da 1,2 miliardi di euro. Semmai c’è da capire quanto la famiglia Zhang, in piena crisi e sempre meno coinvolta nell’Inter, possa essere in questo momento un interlocutore affidabile per il fondo Elliott e per lo stesso Sala. Prima dell’estate i vertici dell’Inter hanno garantito solidità, ma le notizie provenienti dalla Cina non inducono all’ottimismo.
A Roma, invece, la partita è ancora aperta. L’uscita di scena di Virginia Raggi cancella anche l’ultima traccia del faraonico e bocciatissimo progetto di Tor della Valle. Restano in piedi le candidature di Michetti (centrodestra) e Gualtieri (centrosinistra) che sull’idea degli stadi di Roma e Lazio fin qui si sono espressi solo in campagna elettorale con generici impegni a garantire le esigenze dei due club. Michetti ha apertamente detto che il dossier diventerebbe una priorità del suo mandato, mentre dall’altra parte i Friedkin continuano a contare sulla sponda di Stefano Scalera, ex collaboratore di Gualtieri al ministero dell’Economia e da gennaio uomo dei rapporti istituzionali nel club giallorosso che ha appena cambiato amministratore delegato salutando Guido Fienga, cui resterà la consulenza proprio per la vicenda stadio. Tor di Valle è un’idea morta (costata decine di milioni di euro), i Friedkin guardano ad altre aree della Capitale e attendono l’esito del ballottaggio ben sapendo che la strada per risalire la corrente sarà lunga e in salita, qualunque sia il candidato vincitore.