È uscita la prima ricerca sul tema del “south working”, realizzata da Datamining per conto di SVIMEZ, l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno. Il campione di indagine ha coinvolto 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi.
Sono quarantacinquemila gli addetti che dall’inizio hanno deciso di lavorare dalle zone del Mezzogiorno. Se si contano le realtà più piccole, si arriva però alle centomila persone, una percentuale interessante dei due milioni di nati nel Sud Italia che, in tutto, lavorano al Nord. Per dare un’idea del fenomeno, basterebbero le 45mila unità a riempire cento treni ad altà velocità, come nota il report.
Secondo la SVIMEZ l’obiettivo è trovare un modo di farli rimanere, al Sud, almeno in parte, trasformando il south working in una prassi. Ma non è facile prevedere gli sviluppi post-pandemici, almeno per il momento. Quanti di questi posti di lavoro rimarrano remoti? Quanti verranno più o meno facilmente richiamati alla città di riferimento, se non proprio in ufficio?