La tornata elettorale appena conclusa lascia molti indicatori importanti per l’analisi di Ferruccio De Bortoli. Il giornalista e autore sottolinea l’importanza di candidati sindaco che siano realmente “civici” e la necessità di un’offerta di credibilità della politica agli elettori. Per il direttore de Il Sole e del Corriere, le amministrative sono un segnale positivo per il governo Draghi, ma all’orizzonte si intravedono possibili sorprese in un panorama politico che dovrà essere in grado di non parlare più alla pancia, ma al cuore del paese che la pandemia ha reso pulsante.
Direttore, che indicazioni ci lascia questo voto?
E’ un voto che ci fa toccare con mano fattori importanti. Da un lato, quanto sia importante, soprattutto per alle amministrative, avere dei candidati credibili soprattutto per la storia della citta: non basta che siano definiti “civici”, questo non li proietta automaticamente in rapporto col tessuto cittadino. Le candidature civiche si costruiscono negli anni con la presenza sul territorio, nel mondo del volontariato e nelle comunità di quartiere. L’incapacità di presentare candidati idonei è la ragione della sconfitta del centrodestra: Milano non era contendibile, Roma lo è stata solo al primo turno poi al ballottaggio era già tutto scritto.
Il voto ci mostra poi il ritorno dell’importanza di una campagna stampa vecchio stile, come quella che ha fatto Letta, con politici che stanno sul territorio confrontandosi a contatto con gli elettori.
Allo stesso tempo non dobbiamo commettere l’errore di proiettare questo voto locale a livello nazionale, perché hanno votato i grandi centri, non la provincia.
Chi ha vinto e chi ha perso?
Molto curiosamente il vincitore e lo sconfitto stanno dalla stessa parte: Letta e Conte. Il segretario dem ha vinto con la sua forza tranquilla, serietà e coerenza. Dei Cinque Stelle non si capisce se sono ancora alleati col Pd, di cui temono di diventare subalterni. Rispetto ai successi più clamorosi del centrosinistra erano dall’altra parte: a Torino non hanno votato Lorusso (che è stato il principale oppositore dell’Appendino) e a Roma dove sostenevano la Raggi e poi poco convintamente Gualtieri.
La battuta d’arresto del centrodestra è una vittoria per Draghi?
Sicuramente è un segnale inquietante per il centrodestra, che i sondaggi danno in maggioranza nel paese ma che non è in grado di selezionare una classe dirigente, e che tende in questi tempi ad essere sempre più attratto da una destra nostalgica, anti-europea, con partener improbabili a livello internazionale. Stenta quindi a essere riconosciuta come attendibile dagli elettori. L’unico vincitore della coalizione è Berlusconi, solo i suoi moderati hanno conseguito risultati. Dietro c’è un insegnamento importante di dottrina politica: al secondo turno bisogna arrivare con candidati che possano essere votati anche da avversari.
Venendo a Draghi, è importante comprendere come il governo sarebbe stato in ogni protetto anche rispetto a un altro esito elettorale. È immune da rafforzamenti e indebolimenti, essendo un governo tecnico-politico in equilibrio: non è tanto tecnico da essere fragile nei confronti della politica, e nello stesso tempo non è tanto politico da esserne prigioniero. Può sfruttare entrambi i vantaggi in questo equilibrio instabile ma miracoloso. Il quadro politico si è chiarito in senso positivo per il governo dopo il voto, questo è innegabile.
È la prima zolla del “campo largo” del centrosinistra, può fiorire in un nuovo Ulivo?
Sicuramente stiamo andando a grandi passi verso il ritorno al bipolarismo. Occorrerà capire quali saranno i colpi di coda dei Cinque Stelle: c’è certamente una parte che penserà di allearsi col Pd, il quale però non può pensare di essere una forza che si fonde per acquisizione, sarebbe un errore allearsi con la parte ribellista dei grillini, l’area ortodossa. I colpi di coda arriveranno con il presidente della Repubblica, perché sono convinto che Cinque Stelle e Lega non voterebbero all’atto pratico Draghi, che rimarrà premier fino al 2023. E quindi al Quirinale avremo una sorpresa, da sommare a quella che avremo con la legge elettorale. Il campo largo si può fare con forze di centro che si vanno aggregando, questa è la sfida di Letta che è ben lontana dal Pd a vocazione maggioritaria.
Come si spiega l’astensionismo di questa tornata elettorale?
Innanzitutto, con la mancanza di una vera contendibilità: perché un elettore dovrebbe votare un candidato, come Michetti o Bernardo, che nemmeno i partiti di riferimento ritengono vincente? Poi c’è stata una campagna elettorale che non ha riguardato le tematiche cittadine, quanto piuttosto polemiche identitarie nazionali. Infine ha avuto un peso decisivo la sensazione che si stia facendo un passo indietro rispetto al suffragio universale: parte della società si sente esclusa e danno un senso di inutilità rispetto al voto a cui decide di non partecipare. Questo dietrofront è una ferita che rischia di indebolire la democrazia.
Esiste una questione sociale o di classe in un paese dove gli ultimi si rivoltano abbandonando il voto?
Quando leggo che i ricchi votano a sinistra e gli ultimi che votavano a destra adesso non votano più, penso sia una semplificazione eccessiva. La prova è la crescita dei voti di Sala anche alla periferia di Milano. Certo da contraltare fa il caso di Roma, dove la Raggi aveva preso molti voti in periferia che ora l’hanno scaricata astenendosi. Esiste un fenomeno di polarizzazione, ma non in tutte le città: dipende dal livello dell’offerta politica, dalla credibilità e dalla prevalenza civica e del radicamento dei candidati. Nelle città non servono leader, ma persone che stanno sul territorio. Vedo un grande capitale sociale che si è sviluppato in Italia dopo la pandemia, con una grande partecipazione nel privato sociale e solidarietà nell’assistenza. Questo fenomeno non hanno colore politico, ma esprime interesse e partecipazione al destino comune. Tutti i partiti dovrebbe rifletter sul loro essere in sintonia, non tanto con la pancia, quanto piuttosto con il cuore del paese. Un cuore che è pulsante con solidarietà, volontariato e capitale sociale che si è arricchito enormemente in questi mesi. La forza d’animo della volontà civica ha bisogno di essere rappresentata a livello politico.
Il non voto è il fallimento della politica dei sussidi di questi anni?
Penso che stiamo dando una pessima lezione di educazione civica, e mi sorprende che anche l’attuale governo prosegua in questa direzione: non possiamo illudere i cittadini che lo stato possa fare tutto, che ci sia un sussidio per tutto, che non ci sia un problema di responsabilità nei confronti della spesa, non si parla più di spending review, e che ci sia una sorta di “benessere di cittadinanza”. Sono concetti che non esistono. L’Italia purtroppo non si è incamminata in un sentiero di crescita duratura, stiamo rimbalzando tra le nostre virtù e i nostri difetti, che in questa fase facciamo finta di non vedere.