Salute mentale e pandemia, ecco i dati più recenti pubblicati dal team dell’ospedale Niguarda di Milano: donne, pazienti psichiatrici e personale ospedaliero. Queste le categorie più colpite
di Francesco Floris
Disturbi emotivi a carattere ansioso-depressivo; attacchi di panico; sintomi psicotici e incremento di suicidalità. Se la quarantena, i lockdown ripetuti, la perdita della libertà, l’incertezza e la preoccupazione per il futuro e per le conseguenze economiche della crisi sanitaria sono per tutti gli strati della popolazione un’esperienza faticosa, particolarmente drammatici sono i dati per le persone più fragili. A cominciare dai pazienti psichiatrici e da chi già soffriva in precedenza di disturbi legati alla salute mentale. Secondo uno studio specifico realizzato per indagare l’impatto psicologico dell’emergenza Covid-19, condotto su un campione di utenti in contatto con uno dei Centri Psicosociali afferenti al DSMD dell’Ospedale Niguarda, il livello di “distress” è risultato severo nel 26,4% del campione e moderato nel 32,1%. Solo una piccola percentuale (8%) risultava non soffrire di un livello significativo di “distress” emotivo. Una maggiore prevalenza di “distress severo” è risultata nei soggetti di età compresa fra i 45 e i 65 anni, confermando evidenze già pubblicate che riguardano la maggiore difficoltà di adattamento al lockdown in questa fascia d’età. True Pharma grazie alla disponibilità del dott. Mauro Percudani, Direttore Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’Ospedale Niguarda di Milano, ha potuto consultare una serie di studi recenti condotti da marzo a oggi e pubblicati in lingua italiana e inglese sulle principali riviste di settore come Elesevier, Journal of Psychopathology, International Journal of Environmental Research and Public Health, IJSP. Ne emerge un quadro che merita attenzione. Una fotografia che mostra come quella delle conseguenze psichiatriche della pandemia sia una delle variabili cruciali da tenere sotto controllo anche nei mesi che accompagneranno la comunità internazionale verso un potenziale e augurato miglioramento. Gli studi evidenziano una maggiore suscettibilità delle donne a sviluppare sintomi post-traumatici (PTSD) ed iperarousal, come peraltro già descritto ampiamente nella letteratura scientifica. È chiaro che agli effetti strettamente clinici, nella penisola vanno sommati necessariamente quelli legati conseguenze economiche e sociali della pandemia proprio sulla popolazione femminile, con l’Istat che nelle ultime ore ha segnalato come nel secondo trimestre del 2020 si contino ben 470 mila occupate in meno rispetto allo stesso trimestre del 2019. Sempre uno studio condotto in Italia nel periodo di lockdown sulla popolazione generale ha evidenziato infatti che il sesso femminile e la presenza di variabili personologiche quali la prevalenza di stati affettivi negativi, “sono associati a livelli maggiori di ansia, stress e depressione” ma che per esempio condizioni come “avere un’occupazione da svolgere in esterno” possono diventare “fattori protettivi” e di difesa dal rischio. Un capitolo a parte riguarda gli operatori sanitari. Le evidenze sono numerose anche a livello globale e se confrontate con casi storici più recenti (come la Sars ad esempio) mostrano che nel 2020 si parla di un evento con una portata – una “magnitudo” scrivono i ricercatori – senza precedenti. Uno specifico articolo sulla risposta dei servizi psichiatrici in Lombardia alla pandemia Covid e pubblicato su Elsevier da un team tutto italiano (i dottori Mauro Percudani, Matteo Corradin, Mauro Moreno, Annamaria Indelicato, Antonio Vita) mette in luce alcuni aspetti specifici e possibili suggerimenti per contrastare l’impatto psicologico dell’epidemia sugli operatori sanitari attraverso interventi dedicati per affrontare ansia e stress. Tra gli operatori sanitari, infatti, si rileva da studi internazionali una significativa presenza di sintomi psichiatrici. Con il 29,8% del campione colpito da stress, il 13,5% da depressione e il 24,1% da ansia. Da qui le indicazioni di “mantenere un monitoraggio continuo”. Sia chiaramente dei pazienti in contatto con i servizi di salute mentale e provando a intercettare anche quegli utenti sconosciuti ai servizi, ma allo stesso tempo degli operatori sanitari. Nella logica che non esiste servizio in grado di garantire la salute individuale senza un approccio olistico che pensi anche a quella collettiva e dell’ambiente circostante. |