Che bei tempi, quelli passati. Tempi in cui i giornalisti sportivi viaggiavano per le trasferte di coppa con l’aereo usato dalla squadra e spesso a loro veniva offerta anche la cena in un ristorante di livello elevato per allietare la serata della vigilia. L’hotel no, quello, almeno quello, era a carico della testata.
Erano tempi in cui i giornalisti sedevano in volo accanto ai calciatori con cui nascevano rapporti di amicizia «vera» e da questo scaturivano notizie, interviste, giornalismo di altissimo livello.
I problemi dei giornalisti del calcio: l’era degli uffici stampa
Poi gli uffici stampa (del tutto sconosciuti o impotenti fino ad un paio di decenni fa) hanno cambiato tutto. A questo unite i «diritti di immagine» ed il passato è stato spazzato via in un attimo. Oggi i faccia a faccia sono quasi impossibili, i rapporti personali del tutto azzerati; esiste un controllo attorno ai calciatori da fare invidia al Kgb. Le interviste sono concordate con settimane di anticipo: spesso le domande vanno anticipate (avete capito bene, le domande sul calcio, anticipate…manco si dovesse intervistare il Papa o il Presidente degli Stati Uniti) e le risposte filtrate da addetti alla comunicazione che presidiano la zona. E così ecco che le parole della vigilia di una partita sono delle cose talmente insipide e noiose che poi non ci lamentiamo se i giornali sportivi non li legge più nessuno.
La crisi del giornalista del calcio
Insomma una crisi di sistema a cui forse il Covid ha dato la mazzata definitiva: con la motivazione (anche «scusa» va bene) del contagio ecco che definitivamente i giornalisti si sono trovati a fare una vita parallela e distante dalle squadre, con tutto quello che ne consegue.
Prendete la recente trasferta di Champions League dell’Inter contro lo Sheriff in Transnitria, lo Stato indipendente ma non riconosciuto dall’Onu che lo considera parte della Moldavia. Ecco, una trasferta complessa dato che il più vicino aeroporto esistente è appunto quello Moldavo di Chisinau, poi sono ore di pullman con annessi controlli (militari) alla frontiera tra i due paesi. Insomma, un viaggio complesso, non semplice, non per fare un paragone come andare a Madrid per commentare la partita con il Real o a Monaco se sfidi il Bayern.
Non essendoci molti voli diretti o low cost l’Inter si è organizzata il suo charter privato con partenza per il viaggio di ritorno poche ore dopo il fischio finale ed arrivo in piena notte a Malpensa. Ma per i giornalisti al seguito (5 in totale, quelli italiani presenti di persona allo stadio: 3 televisivi e due di carta stampata. Il resto delle testate ha coperto la partita diciamo in «dad», a distanza…) più che una trasferta è stata un’odissea. I malcapitati infatti non sono stati ospitati sul charter e sui pullman dei nerazzurri, anche se posti liberi – ci raccontano – ne avevano diversi. No, tutto un fai-da-te. Dal noleggio auto al passaggio delle frontiere, o meglio, veri e propri check point con soldati dalle divise rovinate, armi a tracolla ed una scarsissima se non del tutto inesistente conoscenza dell’inglese. Così ecco che i documenti come Green Pass, esito dei vari tamponi etc etc venivano controllati senza avere molto bene chiare le cose, dato che erano in una lingua del tutto sconosciuta al militare (armato) di turno.