A volte si arriva di fronte a un negozio di oggettistica cinese, altre volte a quella di un sexy shop. Vetrine insospettabili. Si suona, qualcuno schiude uno spioncino, si pronuncia la parola chiave. A quel punto si apre una porta, si percorre un breve corridoio e in breve ci si ritrova nell’atmosfera dell’America degli Anni Venti, quelli del Proibizionismo: poltrone di velluto, un pianoforte che suona, vecchie macchine da scrivere, lampadari in stile Liberty. Un’atmosfera soffusa come può essere solo quella degli inner circle, club esclusivi in cui si viene ammessi solo dopo un’attentissima selezione. Si chiamano “speakeasy bar” e sono l’ultima tendenza in arrivo in Italia per chi fa vita mondana.
Speakeasy bar: che cosa sono
Qui si bevono drink sofisticati preparati da barman super esperti e si passano serate al riparo da occhi indiscreti. Locali “clandestini” che, nell’era dei social network, basano la loro fama soprattutto sul passaparola. Per scoprirne l’esistenza, ed essere ammessi in questi circoli ristretti, bisogna ottenere indirizzo e parola chiave da qualcuno.
Qual è la storia degli speakeasy bar
Speakeasy è proprio il nome con cui, durante il Proibizionismo americano, venivano indicati i locali clandestini per la vendita illegale di alcolici. Nel 1920, infatti, fu vietato il commercio e il consumo di alcol in tutti gli Stati Uniti, ma in breve tempo sorsero questi luoghi di ritrovo, nascosti nei retrobottega di negozi di generi alimentari oppure dei barbershop e perfino all’interno di abitazioni private. Pare che a New York ce ne fossero ben 32 mila. Il nome, secondo un’antica leggenda, deriva dall’esclamazione della proprietaria di un saloon illegale della Pennsylvania, che nel 1888 intimò ai clienti di abbassare la voce per non far scoprire la sua attività, dicendo appunto “Speak easy, boys!”.
Gli speakeasy moderni
Oggi non c’è più niente di illegale. Resta la filosofia dell’accesso non aperto a tutti, ma riservato a un club ristretto di persone e legato a regole prestabilite. L’ideale per chi ama posti esclusivi e vuole soddisfare quella voglia inconfessabile di proibito, come spiega Will Ricker, proprietario de La Bodega Negra, nel cuore di Soho a Londra: “La clientela vuole sentirsi parte di un circolo esclusivo ed è disposta a pagare un prezzo più alto per questo. Il mistero che circonda questi locali, il piacere della ricerca e la sorpresa della scoperta ne accrescono il valore”.
Cocktail super sofisticati
Un altro motivo del successo degli speakeasy bar è la qualità dei cocktail che è possibile sorseggiare seduti sugli esclusivi divanetti. I bartender conoscono tutte le cosiddette tecniche di Vintage Mixology, ovvero le tecniche di miscelazione di una volta, e sono in grado di preparare almeno i più importanti Twist on Classics, ovvero rivisitazioni delle ricette del passato in chiave moderna. Al posto della classica lista i clienti sfogliano un vero e proprio libro con il racconto dei diversi drink da ordinare. Niente vino o birra, please.
Dove sono gli speakeasy bar
Qualche altro esempio di speakeasy bar, oltre al noto locale londinese? A Berlino c’è il Beckett’s Kopf il cui unico segno distintivo è la foto dello scrittore irlandese accanto a un portone. A Toronto invece il Libertine Speak si nasconde dietro un’insegna che indica l’attività di cartomanzia e lettura della mano. E in Italia? A Milano ci sono il 1930 Cocktail Bar e il White Rabbit, nascosti entrambi dietro vetrine assolutamente anonime. A Roma c’è più scelta: dal Club Derriere, il cui ingresso si nasconde dietro l’armadio di un’osteria, al The Barber Shop, i cui cocktail prendono il nome dai tagli del barbiere, fino al Jerry Thomas, forse il più antico della Capitale. E ancora, se siete a Genova cercate il Malkovich oppure Locksmith, a Napoli L’Antiquario, a Torino The Mad DogSocial Club. A Modena il Cotton Club, a Venezia il Chapel Club. E che dire del Rasputin a Firenze? Cin cin.