Sala contro tutti, schierato a difesa del sì al progetto di Inter e Milan sul nuovo distretto San Siro, che comincia con la costruzione dello stadio – che porterà i due club milanesi nel futuro – e finisce (finirà) con la demolizione dell’iconico impianto nato negli anni Venti. Sala contro tutti, perché il via libera alla dichiarazione di pubblico interesse dell’opera, trattato direttamente dal sindaco con i rappresentanti delle due società e approvato in un lampo in Giunta, ha accelerato la polarizzazione degli schieramenti in campo. Quella che per due anni è stata una trincea nascosta, ora è diventato scontro aperto con in campo anche alcuni insospettabili, certamente vicini a Sala e al suo schieramento politico ma dichiaratisi contrari all’addio del vecchio San Siro.
Il nome più famoso è quello dell’ex presidente dell’Inter, Massimo Moratti, protagonista di uno scambio al vetriolo con il sindaco: attacco (“No all’abbattimento del Meazza”), parata (“Salvare lo stadio? Chi vuole se lo compri”) e contro risposta (“Battuta infelice”). Ma insieme a lui ci sono molte delle firme dell’intellighenzia milanese, trasversali per orientamenti politici e tifo calcistico. Uniti tutti dall’idea che non si debba cambiare, come se il progetto delle due proprietà straniere fosse vissuto come uno sgarbo in una città che non ha avuto la forza di dotarsi di uno o più impianti all’avanguardia neanche quando Berlusconi ne era il principale riferimento politico, oltre che presidente del Milan, o a Palazzo Marino sedeva una Moratti. Eppure le occasioni ci sono state, se è vero che dagli anni Ottanta più volte Inter e Milan hanno pensato di procedere o con la ristrutturazione dell’attuale San Siro oppure mettendosi in proprio.
Tutto sempre respinto al mittente, anche i progetti arrivati in fase più avanzata. Al di là della storia e del dispiacere di abbandonare lo stadio in cui il calcio milanese ha vissuto momenti leggendari, rimane la sensazione che San Siro sia da tempo immemore un asset cui il Comune non vuole rinunciare e che il fatto di trovarsi davanti a due proprietà che vengono da lontano non faciliti le cose. Quasi come se la famiglia Zhang e Singer, destinati in ogni caso a passare la mano in tempi medio lunghi, stessero utilizzando Inter e Milan come cavalli di Troia per speculare sulla città in nome dei propri interessi e non dell’amore verso due squadre che stanno, invece, cercando in tutti i modi di restare aggrappate al treno della competitività europea.
Il filo che lega Moratti e tutti gli altri, visto che a livello politico in ‘niet’ dei Verdi conta ma non avrebbe numeri sufficienti per bloccare tutto, è dunque più che altro ideologico. E probabilmente sconta anche un peccato originale nascosto nelle pieghe dei primi passi di tutto l’iter, quando tra i grandi nomi attivatisi per studiare il progetto compariva anche quello di chi in questi anni ha avuto voce in capitolo in diversi passaggi dello sviluppo della visione della nuova città. Inter e Milan hanno preferito guardare altrove, si sono mosse su linee internazionali di grande impatto ma probabilmente con meno agganci alla realtà milanese e ora che il momento è quello decisivo anche i dettagli fanno la differenza.
L’idea di trasferire il dibattito sul nuovo San Siro in un referendum è stata bocciata. Il confronto pubblico si sta trasformando in una complessa mediazione tra norme e cavilli della burocrazia politica cittadina. I comitati, che rappresentano davvero solo un pugno di persone, sono pronti a ricorrere ai tribunali con una mossa di disturbo di impatto quasi scontato. Come andrà a finire? La sensazione è che Sala goda oggi di una posizione di forza non replicabile a lungo e per questo abbia alzato i toni, anche a costo di inimicarsi il salotto buono della città. Se avrà la costanza di non cedere, Inter e Milan potranno andare in porto con il loro progetto. Altrimenti sarà solo l’ennesima occasione persa.