C’è un velo di ipocrisia dietro la sorpresa con cui il mondo del calcio ha appreso, direttamente dalle (poche) carte della Procura di Torino, dell’esistenza di un rapporto quanto meno ambiguo tra club e procuratori. Ipocrisia perché il peso sempre crescente di queste figure professionali, un po’ manager e molto domus del mercato, è agli atti da tempo. E da anni Fifa, Uefa e federazioni garantiscono che il nodo sarà sciolto e le società liberate, se davvero lo vogliono, da questa sorta di dipendenza che ne contribuisce a prosciugare le casse, anche in tempo di crisi quando i soldi sono pochi e vanno centellinati.
Tutti sanno, ad esempio, che quella delle commissioni è una voce dal peso sproporzionato sui bilanci rispetto ai servizi davvero resi dai procuratori e intermediari. Dati pubblici, sia dentro i conti economici della società che nei report della Figc. In Serie A si sono spesi dal 2016 al 2020 ben 913 milioni di euro per oliare la macchina del calciomercato e solo lo stallo delle trattative spingerà fortemente al ribasso il dato del 2021 rispetto ai 140 milioni registrati nel 2020 (peraltro già squassato dal Covid e con una finestra estiva delle trattative con prezzi e movimenti in crollo). Un miliardo di euro uscito dal sistema e non più reinvestito, perché i bonifici garantiti alle agenzie di intermediazione non premiano nessuna delle fasi della catena di costruzione e valorizzazione di un giovane calciatore, ma sono semmai una sorta di tassa da pagare a chi è ormai diventato il vero proprietario occulto del cartellino della stellina di turno. Senza rischio imprenditoriale e quasi senza investimento di partenza. Un affarone su cui si sono tuffati un manipolo di agenti che controllano la stragrande maggioranza del mercato.
Pochi, quasi nessuno, possono dire di aver rifiutato la logica della commissione. Lo dicono i dati che confermano che non si tratta di un problema solo della Juventus, sempre al netto di quanto l’indagine potrebbe portare a galla a proposito di comportamenti illeciti, fatture false ed eventuali mandati fittizi; materiale buono in questo momento per l’indignazione popolare, si vedrà se destinato poi a diventare accusa provata dentro un processo. Il fiume di denaro che alimenta i conti in banca degli agenti si arricchisce a ogni curva. Nei cinque anni presi in esame aggregando i dati pubblicati dalla Figc, la Juventus ha speso 190 milioni di euro, molto più di altri ma anche con la giustificazione di essere la società che si è mossa di più sul mercato, in piena fase espansiva, e di averlo fatto seguendo la logica dei parametri zero (che in parte vengono remunerati ai procuratori) e mettendo sotto contratto un super big come Cristiano Ronaldo: la più grande azienda individuale che esista al mondo.
Anche le altre si sono servite degli agenti cui hanno corrisposto commissioni ricchissime: 108 milioni di euro l’Inter, 103 la Roma americana di Pallotta, 94 il Milan che in questo arco temporale è passato da Berlusconi-Galliani a Elliott-Gazidis-Maldini transitando per la fugace gestione cinese. E poi il Napoli (53), la virtuosa Atalanta (37) a scendere fino alla Lazio il cui patron Lotito è tradizionalmente indicato come allergico ai procuratori e che, infatti, ha autorizzato pagamenti per ‘soli’ 17 milioni di euro.
La magistratura chiarirà se nel comportamento della Juventus ci sono profili di illecito penale. Il resto, invece, è chiaro da tempo e come tale avrebbe dovuto essere affrontato: una distorsione sempre meno sopportabile nel calcio dei finti ricchi, dove club e proprietà si sono indebitati fino al collo per cercare di restare a galla dentro una bolla speculativa sempre più grande. La crisi ha fatto venire giù tutto accelerando il momento in cui passare dalle parole (riforma, progetto) ai fatti.