Aiuto, il calcio in tv si sta restringendo. Non gli spazi che occupa, sempre più invasivi, ma la platea dei tifosi clienti disposti a spendere per vedere rotolare un pallone inseguito dai propri idoli, sia esso sul maxischermo in sala o sullo smartphone in giro per il mondo. Davvero la richiesta di tv-calcio è arrivata al limite di saturazione? Il sospetto viene se si osservano le curve degli ascolti di questi primi mesi della nuova stagione, tra le difficoltà e le polemiche legate alla rilevazione dei dati di DAZN e quello che trapela (non ufficialmente) sull’esperimento di Amazon Prime Video con la Champions League.
Si sussurra – anche se non c’è conferma – che i mercoledì sera offerti dalla piattaforma di Bezos e dedicati al miglior match delle italiane non siano stati un successo in termini di accessi al portale. Numeri bassi per la qualità del prodotto offerto, sui cui Amazon non ha badato a spese visto che la squadra giornalistica e di talent è di tutto rispetto.
Una realtà che, se confermata, rappresenta un problema per i club della Serie A che da anni guardano ad Amazon come possibile driver del mercato dei diritti calcistici del massimo campionato, sperando così di innescare una reale competizione al rialzo allargando i propri confini. La Champions League su Prime rappresenta una sorta di test per la piattaforma, nei prossimi mesi si capirà quale sarà la valutazione data all’esperimento.
Il futuro del calcio in streaming
Di sicuro l’autunno 2021 lascia in eredità dubbi sulla spendibilità nel breve del calcio in streaming. DAZN è al centro di mille discussioni per i disservizi tecnici (che non sono mancati nemmeno ad Amazon pur senza blocchi) e per i criteri di rilevamento degli ascolti, sganciati da Auditel e affidati a un sistema misto DAZN-Nielsen su cui gli investitori pubblicitari e l’Agcom hanno acceso più di un riflettore, chiedendo che si passi rapidamente a rilevazioni di enti indipendenti dalla stessa Ott tedesca.
Il confronto tra gli ascolti auto-rilevati e quelli comunque segnalati da Auditel è stato impietoso. Un esempio? Il derby Milan-Inter del 7 novembre ‘pesato’ 2,7 milioni di individui da Nielsen e poco più della metà (1,4) da Audiltel oppure Inter-Juventus del 24 ottobre passato da 2,3 a 1,3 milioni. Il timore dei vertici del pallone, insomma, è che semplicemente ci sia meno gente disposta a pagare per vedere calcio in tv o simili. Non per vedere calcio in senso assoluto, perché il paradosso è che gli ascolti non sono un problema per tutto quel contorno di prodotti legati all’evento e che non si occupano della trasmissione delle partite e spesso non hanno nemmeno un’immagine a disposizione perché strangolati dalle regole sempre più stringenti di protezione delle esclusive.
Boom delle tv locali: il calcio piace, ma non a pagamento
Le tv locali e le loro trasmissioni fiume di dibattito e (qualche volta) scontro si moltiplicano. Non solo tengono in termini di ascolti, ma fanno registrare numeri lusinghieri. Per capirci, nella domenica sera del derby milanese del 7 novembre la storica trasmissione QSVS di Telelombardia ha avuto un picco di oltre 200mila telespettatori collegati contemporaneamente e ha fatto registrare uno share del 3,54% in Lombardia (mercato ricchissimo per le tv commerciali) e dello 0,70% a livello nazionale.
La morale? Il calcio continua a piacere, quello a pagamento un po’ meno. Perché accada è materia di studio con soluzione da trovare in fretta. Tra qualche mese la Lega Serie A dovrà aprire le danze per il bando 2024-2027 e dopo lo scontro cruento che ha visto Sky tagliata fuori e il pacchetto assegnato a DAZN il rischio è di ritrovarsi con un panorama impoverito e un prodotto che vale meno di quanto di pensa. Scenario da incubo per i bilanci disastrati del nostro pallone.