Le proposte di Cittadinanzattiva per rafforzare medicina territoriale e Adi. Gaudioso: “Il tema ospedale-territorio è quello su cui ragionare senza mai dimenticare di quale ospedale e di quale territorio parliamo”
di Francesco Floris
“Il tema ospedale-territorio è certamente quello su cui ragionare senza mai dimenticare di quale ospedale e di quale territorio parliamo”. Non ha dubbi Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva su quale strada deve intraprendere il sistema sanitario per mettersi al passo con i tempi. La storica organizzazione fondata nel 1978 il 3 dicembre ha portato le sue proposte in Commissione Igiene e Sanità del Senato. Quattordici punti concreti su cui lavorare che vanno dalla consegna a domicilio di farmaci e dispositivi, passando per il potenziamento dei servizi di telemedicina, fino al ripensamento di percorsi accademici e universitari per creare le nuove professionalità in campo medico. Quattordici proposte che prendono le mosse anche dal “XXIII Rapporto PiT Salute” che Cittadinanzattiva ha presentato lo scorso 1 dicembre: nel quinquennio 2015-2019 (quindi precedente alla pandemia), già emerge un quadro critico dell’assistenza territoriale. “Il rapporto – si legge nell’audizione parlamentare di Cittadinanzattiva – ha fotografato il consolidarsi di forti difficoltà legate principalmente all’accesso alle prestazioni e all’assistenza territoriale, connesse al progressivo depauperamento dei servizi offerti ai cittadini frutto del de-finanziamento del servizio sanitario nazionale e alle quali fa da contraltare un’organizzazione ‘ospedale centrica’ della rete sanitaria della presa in carico”. Secondo l’organizzazione la direzione da prendere per invertire la rotta è quella del rafforzamento della medicina territoriale e della domiciliarizzazione delle cure. “Stiamo portando avanti una campagna che prevede un investimento da 300 milioni di euro sull’assistenza domiciliare in Legge di Stabilità” spiega Gaudioso a True Pharma. Ma il tema non è solo finanziario e di risorse economiche perché “al momento i servizi offerti sono talmente variegati e con costi diversi che è quasi impossibile fare una stima di quanti sarebbero gli utenti coinvolti con questo tipo di investimento. Teniamo conto che in alcune aree del Paese l’assistenza domiciliare corrisponde banalmente a una oss che aiuta la persona a fare la spesa portandogliela a casa, in altre aree ci sono team di operatori che si alternano gestendo la parte fisioterapica, di somministrazione medicinali, di relazione e monitoraggio da remoto”. Quindi? “La prima cosa da fare è definire i servizi offerti, un benchmark e solo a quel punto i costi come è stato fatto nel Patto per la Salute dove ci siamo battuti per l’inserimento di una scheda dedicata alla riorganizzazione dei servizi territoriali che è propedeutica agli investimenti futuri. Non è immaginabile buttare soldi dalla finestra senza misurarne l’impatto”. Soldi – certo – ma la grande domanda rimane come gestirli e per fare che cosa. Perché come spiega Gaudioso con il pragmatismo degli esempi che contraddistinguono le sue riflessioni “quaranta chilometri di distanza dalla prima farmacia ospedaliera o dal primo presidio sanitario, abitando in un borgo di montagna in pieno inverno, non sono gli stessi quaranta chilometri nel cuore della Pianura Padana: in un caso si tratta di due ore di macchina e un familiare che si deve prendere un’intera giornata di ferie per accompagnare a fare l’esame, nell’altro caso si tratta di mezz’ora”. Allora “è necessario adattare i modelli sulla base dei bisogni delle persone e non il contrario come normalmente accade in Italia”. Cominciando da due scelte. La prima, che il segretario di Cittadinanzattiva definisce di “intenzionalità politica”. Cioè “quello che noi definiamo effetto fisarmonica: decidere quali funzioni spostare dall’ospedale al domicilio e dall’altra parte quali creare ex novo”. Secondo: ripensare le professionalità in campo sanitario. Con una riflessione urgente da parte delle Università e delle Scuole di specializzazione oggi troppo orientate a formare medici di direzione ospedaliera e poco rispondenti alle esigenze della medicina di comunità. Cosa servirebbe invece? “Un team multidisciplinare – dice Antonio Gaudioso – con ruoli preponderanti per il medico di famiglia, farmacista di comunità, l’infermiere, il terapista della riabilitazione perché in quel tipo di contesto ci sono persone che hanno bisogno di un percorso fisioterapico, e infine credo che possa giocare un ruolo lo psicologo”. Esempi che servano a “ripensare il modello formativo e il bisogno del servizio sanitario in termini di personale: non basta mettere sul piatto dieci miliardi di euro oggi, perché in realtà le professionalità non ci sono, semplicemente. Ora c’è bisogno di agire in un contesto di emergenza magari appoggiandosi su convenzioni con il privato mentre in parallelo bisogna fare programmazione formativa da qui a 15 anni basandosi su criteri come l’aumento dell’età media delle persone e i trend delle malattie croniche che maggiormente incideranno sulla popolazione”.