L’ultima frontiera dei benefit aziendali per i dipendenti arriva dagli Stati Uniti: il congelamento degli ovuli, conosciuto anche in Italia come egg freezing, che permette a una donna giovane di posticipare la scelta di una gravidanza e di un figlio senza correre il rischio che, tra il desiderio di carriera e la mancanza di un’anima gemella, diventi troppo tardi. Un trend nato nella Silicon Vallery qualche anno fa, ma esploso negli ultimissimi anni.
Facebook ha iniziato a offrire questa opzione al personale nel 2014: dopo che il COO Sheryl Sandberg seppe di una dipendente con il cancro che non poteva permettersi di pagare per il congelamento degli ovuli, l’azienda decise di intervenire. Poco dopo, altre aziende tecnologiche della Silicon Valley ne seguirono l’esempio e inserirono il congelamento degli ovuli come benefit aziendale. Non solo, i programmi offerti dal datore di lavoro possono includere la fecondazione in vitro, l’adozione, i servizi di donazione o maternità surrogata, i percorsi di accompagnamento alla fertilità.
Con la pandemia boom del congelamento ovuli
Il processo è gestito da centri privati, che sono esplosi durante la pandemia, come spiega a Wired Usa Gina Bartasi, fondatrice e CEO di Kindbody, startup della fertilità nata nel 2018. “Durante la pandemia incontrare la persona giusta con cui mettere su famiglia è diventato molto meno probabile e tante donne, anche grazie a una maggiore flessibilità lavorativa, hanno potuto pensare ai propri progetti personali, tra cui quello del congelamento degli ovuli” per posticipare la maternità. Nel 2021, le cliniche di Kindbody sono triplicate di numero e le entrate della società quadruplicate.
“E’ la legge dei grandi numeri: più persone fanno questa scelta, più se ne parla e più ci si sente a proprio agio con questa possibilità”. Il discorso vale per i singoli, ma anche per le aziende: sono sempre più numerose quelle che hanno inserito la possibilità dell’egg freezing come forma di welfare aziendale. Oggi, oltre la metà degli introiti di Kindbody proviene da 45 società che forniscono benefici di fertilità ai propri lavoratori, i quali non devono così fare ricorso ad assicurazioni e spese personali (parecchie migliaia di dollari) per intraprendere questo percorso.
Se la nuova tendenza in Europa tarda ad arrivare (se ne parla in Gran Bretagna, Irlanda, Germania) negli Stati Uniti le giovani donne chiedono all’azienda durante il colloquio se sono previsti benefit di fertilità. Secondo un sondaggio Mercer, circa un quinto (19 percento) dei datori di lavoro statunitensi con oltre 500 dipendenti ha coperto il congelamento delle uova nel 2020, rispetto al 5% nel 2015. Per quanto riguarda le organizzazioni con un organico di 20.000 o più dipendenti, il 19% lo ha fatto nel 2020, rispetto al 6% nel 2015.
Congelamento ovuli: i rischi
La nuova tendenza è comunque al centro di un certo dibattito. Se da un lato c’è chi apprezza questa possibilità che viene offerta alle donne, dall’altro si accusano i datori di lavoro di voler spingere i dipendenti a rimandare scelte di vita personale per dedicarsi di più alla carriera. Non solo, a livello medico gli esperti mettono in guardia le donne dal vedere il congelamento degli ovuli come un’assicurazione contro l’infertilità. Secondo le statistiche più recenti della Human Fertilization and Embryology Authority (HFEA), le donne che utilizzano i propri ovuli precedentemente congelati hanno in media il 18% di possibilità di avere un bambino. In confronto, il tasso di successo per la fecondazione in vitro è del 26%. Anche l’età in cui si congelano gli ovuli influisce sulle possibilità di successo: l’etè ideale per fare questa scelta è tra i venti e trent’anni, quando la fertilità è ancora ai massimi.