Il grillino mente al processo contro Salvini per la nave Gregoretti su cosa ha fatto e non fatto da ministro. Lo fa interrogato dalla Bongiorno, che era ministro assieme a lui. Forse non sa cos’è la dignità (e potrebbe imparare da Delrio)
di Francesco Floris
Per capire che Danilo Toninelli stava mentendo al processo contro Salvini per la nave Gregoretti basta conoscere un po’ la storia recente dell’immigrazione. Prima del governo giallo-verde e di Matteo Salvini al ministero dell’Interno, c’era già chi voleva chiudere i porti. Marco Minniti dal Viminale del Pd lo minaccia nell’estate 2017. Graziano Delrio, allora Ministro alle Infrastrutture, lo manda a farsi benedire con parole nemmeno troppo tenere. Che “l’apertura” o la “chiusura” di un porto non dipendano dal Viminale ma dal Mit è un fatto certo. Come dipenden dalla Guardia Costiera del centro MRCC di Roma (e quindi di nuovo dal Mit e tuttalpiù dalla Difesa) indicare il “place of safety” di sbarco, o porto sicuro. Al ministro dell’Interno invece compete l’asilo politico, il sistema di accoglienza, i documenti, eventuali problematiche di sicurezza legate all’immigrazione. Cioè dal primo metro su suolo italiano di un extracomunitario, ecco quello diventa terreno del Viminale. Prima no. E anche se così non fosse i governi decidono in maniera collegiale, non è che ogni ministro è il dittatore protempore del proprio dicastero. È così nonostante i Minniti e nonostante i Salvini, che ci hanno molto giocato sulle ambiguità in termini politici e di consenso. Ma ciò che è accaduto a Catania durante il processo per il blocco della nave Gregoretti a carico del leader della Lega è anche altro. Danilo Toninelli, l’ex ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti in quota grillina, ha risposto con un sequel infinito di “non so” e “non ricordo” alle domande incalzanti dell’avvocato Bongiorno che difende Salvini. Problema: l’avvocato Bongiorno era anche ministro del primo governo Conte e quindi sa bene chi ha firmato che cosa e quando. Incluse le chiusure dei porti. Certo, alcuni avvocati a cui piace fare gli “azzeccagarbugli” (Bonafede dixit), hanno invocato per il povero Toninelli convocato come testimone a processo il diritto a non auto incirminarsi e diventare a sua volta co-indagato di Salvini per lo stesso reato. Tecnicamente: se avesse ammesso e si fosse incastrato da solo, allora i magistrati gli devono notificare un avviso di garanzia e va sentito come testimone articolo 210 (“persona imputata in procedimento connesso”) previa trasmissione degli atti alla Procura. Altrimenti si dovrebbe beccare una denuncia come teste reticente e una volta indagato può spiegare perché è così reticente. Ecco. Quando Toninelli era ministro circolavano meme sarcastici che lo prendevano di mira per una foto con lo sguardo non troppo sveglio e brillante. Di fronte a uno squalo di avvocato come Giulia Bongiorno, quei meme si dimostrano un pochettino più veri di allora.