L’associazione Mi Riconosci ha pubblicato da poco un progetto di analisi dei centri urbani italiani: una mappa (in costante aggiornamento) dei monumenti femminili. È un’analisi che riaccende la riflessione sulla rappresentazione femminile negli spazi pubblici e, più in generale, sul significato che i monumenti e i nomi delle vie hanno sull’immaginario collettivo.
La mappa dei monumenti femminili
Le persone contattate e intervistate da Mi Riconosci sono circa 42mila e all’interno dello spoglio sono presenti monumenti a tutto tondo, statue e busti di donne realmente vissute, personaggi letterari o di leggende e figure anonime collettive che si trovano negli spazi pubblici. Al momento se ne contano 171, sparsi su tutto il territorio italiano. Un numero decisamente basso se lo confrontiamo con la totalità delle statue pubbliche presenti nelle aree urbane e rurali.
Oltre ad essere poco numerosi, questa analisi mostra che i monumenti dedicati a personaggi femminili occupano anche una posizione marginale. Solo il 36% è collocato in una piazza. I restanti si trovano ai lati delle strade, de parchi o negli incroci.
La rappresentazione della donna nei monumenti italiani
Mi Riconosci si pone un’ulteriore domanda: chi sono le donne rappresentate? La maggior parte vengono ricordate per meriti che riguardano il sacrificio, la cura, l’assistenza, cioè figure religiose. E molte sono accompagnate da personaggi maschili. Diffusi, inoltre, sono i monumenti realizzati con il preciso compito di esaltare il corpo femminile sessualizzandolo. Naturalmente il 91% delle statue considerate ha una firma maschile.
Un obiettivo a lungo termine
Qual è la finalità di tale mappa? Semplicemente richiedere una maggiore presenza di monumenti femminili? No, bensì interrogarsi sui messaggi che vengono trasmessi dalle statue pubbliche. «Non si può continuare a ignorare il problema: lo spazio pubblico e i monumenti plasmano il nostro modo di pensare, offrono modelli, ricordano e celebrano; per questo un approccio analitico e femminista è necessario».
La vicenda della statua milanese a Montanelli
È la stessa riflessione che lo scorso anno ha colpito la statua di Indro Montanelli, collocata nei Giardini di Porta Venezia di Milano. Gli è stata dedicata per la sua attività giornalistica ma oggi è contestata per le sue azioni colonialiste, razziste e per la violenza commessa contro Destà, la dodicenne etiope coinvolta in quello che lui stesso ha definito «non […] un contratto di matrimonio, ma – come oggi si direbbe – una specie di leasing, cioè di uso a termine».
Negli USA questa stessa riflessione sui monumenti pubblici ha investito le statue di Cristoforo Colombo e di Robert Lee, capo dell’esercito sudista durante la guerra di secessione. Anche il Belgio e il Regno Unito hanno visto episodi simili. Sono tutti tentativi di aumentare la consapevolezza nei confronti dello spazio pubblico e togliere validità a simboli che non rappresentano più i valori condivisi nel presente.
Che cos’è l’urbanistica femminista?
Un lavoro simile a quello di Mi Riconosci è stato fatto da Toponomastica femminile e si concentra non sui monumenti ma sulle vie. Sono stati censiti i centri urbani di tutta Italia e le strade e le piazze sono state classificate in base alla persona a cui vengono intitolate. I dati sono di grande effetto. Se consideriamo solo la città di Milano, ad esempio, abbiamo 4250 vie, di cui 2538 intitolate a uomini e 141 intitolate a donne. Di queste la maggior parte sono madonne e sante.
Una prospettiva femminista per ripensare i simboli della città
Tutti questi aspetti fanno parte della più ampia urbanistica femminista, studiata in Italia anche da Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro, architette e fondatrici del progetto Sex and the City. Si tratta di – per dirlo con le loro parole – «una lettura di genere degli spazi urbani che persegue il superamento dei dualismi conflittuali tra maschile e femminile, produzione e riproduzione, spazio pubblico e spazio privato». Il progetto si concentra sull’area metropolitana di Milano.
Queste iniziative richiedono un cambio di prospettiva e un team di progettazione consapevole e capace di racchiudere in sé punti di vista ed esperienze diverse, in modo da non rendere la visione del mondo più diffusa l’unica possibile. La prospettiva femminile (e femminista) vuole essere il primo passo verso una diversità intersezionale, che non dimentica nessuna delle comunità marginalizzate e che ripensa i simboli disseminati nelle città.