A inizio dicembre il presidente francese Emmanuel Macron ha visitato Emirati Arabi Uniti, Qatar e Arabia Saudita, concludendo accordi miliardari per la vendita di armi e consolidando la collaborazione strategica con le principali monarchie del Golfo.
Il viaggio di Macron nel Golfo
Dopo aver firmato a Dubai un accordo per la vendita di caccia Rafa e elicotteri militari francesi, Macron è volato a Gedda per incontrare il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman. A distanza di un anno dal conferimento all’Eliseo della Legion d’Onore al rais Abdel Fattah al Sisi, che aveva scatenato l’ira di gran parte dell’opinione pubblica europea, il presidente francese entra ancora nell’occhio del ciclone diventando il primo leader occidentale a incontrare il rampollo saudita dopo il brutale omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuto nell’ottobre del 2018. Durante la visita, Macron non ha speso una sola parola né a proposito della morte di Khashoggi né a riguardo delle violazioni dei diritti umani di cui si rende costantemente colpevole la principale monarchia del Golfo sia nei propri confini che al di fuori di essi.
Nel corso dell’incontro, i due leader hanno manifestato l’intenzione di incrementare i rapporti commerciali nel settore privato e di cooperare in settori strategici come quello dell’acqua, dell’energia e delle infrastrutture. Il dialogo ha toccato inoltre i principali dossier regionali, e Macron ha ribadito il sostegno francese alla coalizione a guida saudita in Yemen e la propria preoccupazione per il programma nucleare iraniano.
I diritti umani in secondo piano
Già un anno fa, ricevendo Al Sisi all’Eliseo, il presidente della Repubblica francese aveva affermato che “i diritti umani non possono condizionare gli affari”. Una dichiarazione che non lascia spazio ad interpretazioni, e che sconfessa la possibilità di vincolare il mantenimento di rapporti economici alla garanzia del rispetto delle libertà e dei diritti più basilare. Inoltre, in modo molto emblematico, gli unici leader di primo piano ad aver incontrato Mbs negli ultimi anni erano stati Xi Jinping e Bibi Netanyahu, mentre Joe Biden rifiuta da mesi i contatti telefonici con l’erede al trono saudita.
I pilastri della strategia di Macron
La strategia di Macron, come emerge da quanto avvenuto nel corso di quest’ultimo viaggio, ruota intorno a due pilastri. Il presidente francese mira, in primis, a consolidare i rapporti economici e commerciali con i paesi dell’area MENA. Già a maggio Parigi aveva trovato un accordo con Il Cairo per la vendita di jet, missili e altro equipaggiamento militare per un affare complessivo di diversi miliardi di euro, e gli accordi stretti negli ultimi giorni hanno una portata addirittura maggiore e confermano il trend. La cooperazione in campo energetico con le monarchie del Golfo rimane fondamentale, e nel corso dell’ultima visita Saudi Aramco ha firmato diverse accordi di collaborazione con società francesi. Nel corso della visita negli Emirati Arabi Uniti sono inoltre state siglate diverse intese riguardanti sia lo stoccaggio di carbonio che le energie rinnovabili.
La Francia nello stesso campo di Emirati ed Egitto
Il secondo pilastro riguarda la sicurezza regionale. Già negli anni passati il sostegno francese al generale Haftar in Libia posizionava Parigi nello stesso campo di Emirati Arabi Uniti e Egitto, e l’incontro bilaterale tra Macron e Mohammed bin Salman conferma la completa adesione, da parte dell’Eliseo, nei confronti delle linee guida della politica estera delle monarchie del Golfo. Il contenimento della minaccia iraniana rappresenta una priorità assoluta, e il tentativo di favorire il dialogo tra Arabia Saudita e Libano costituisce anche un tentativo di provare a limitare il potere di Hezbollah nel paese. Allineamento che viene ulteriormente rinforzato dalla comune ostilità verso la Fratellanza Musulmana.
La crisi diplomatica tra Libano e Arabia Saudita
Proprio le critiche mosse dall’ormai ex Ministro dell’informazione libanese George Kordhai nei confronti dell’intervento saudita in Yemen sono alla base della crisi istituzionale scoppiata nelle scorse settimane tra Libano e Arabia Saudita. Le dichiarazioni di Kordhai, membro del Movimento Marada e vicino alle posizioni di Hezbollah, avevano suscitato l’immediata decisione di Ryad di interrompere relazioni diplomatiche e commerciali con Beirut. In poche ore lo stesso provvedimento era stato adottato dalle altre monarchie del Golfo (con l’eccezione del Qatar), contribuendo a rendere ancora più disperata la situazione del Libano.
Le dimissioni di Kordhai rilanciano le relazioni diplomatiche
Macron e Mbs hanno, tra le altre cose, svolto una telefonata congiunta con il premier libanese Najib Mikati, affermando la volontà formale di fornire assistenza umanitaria al paese dei cedri e di riavviare il libero mercato. Le dimissioni di Khordai, avvenute in seguito a pressioni sia interne che esterne, dovrebbero portare al rilancio delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, ma i rapporti tra Ryad e Beirut avevano già subito un drastico peggioramento negli ultimi anni con la progressiva ascesa di Hezbollah.
Macron e l’intenzione di Parigi di aumentare la propria influenza nel mondo arabo
In seguito all’esplosione del porto di Beirut del 4 agosto 2020 Macron si era immediatamente presentato come “salvatore della patria”, visitando la capitale libanese e promettendo di aiutare il Paese dei Cedri a rialzarsi. Già all’epoca si era parlato di “capitalismo dei disastri”, e, sebbene la corruzione e l’inattività della classe politica libanese rendano indispensabile l’intervento di forze esterne e i legami tra Libano e Francia siano ancora molto forti, l’incursione di Macron viene vista dai più come un tentativo di aumentare l’influenza di Parigi nel mondo arabo. Un compito reso più semplice dallo spostamento dell’asse di interesse strategico statunitense verso l’indo-pacifico e dal nuovo approccio nella politica estera a stelle e strisce impresso dall’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden.
Il pragmatismo di Parigi nel vuoto lasciato dagli Usa
Parigi si affida al pragmatismo e, a pochi mesi dall’umiliazione subita sugli accordi per la vendita di sottomarini all’Australia e dall’annuncio dell’Aukus, punta a massimizzare gli utili derivanti dal disimpegno statunitense dalla regione mediorientale. Ad aprile si terranno le elezioni presidenziali in Francia, e la conferma di Macron all’Eliseo è tutt’altro che scontata. L’uscita di scena di Angela Merkel offre al leader di En Marche la possibilità di proporsi come nuova guida, locomotiva e uomo forte del blocco europeo. Tuttavia, a poche settimane dalla crisi migratoria sul confine tra Polonia e Bielorussia, per gli stati membri è il momento di scegliere se mantenere vivi i valori che hanno portato alla nascita e alla crescita dell’Unione Europea o se sacrificare il rispetto dei diritti umani in nome del business e della realpolitik.
L’avanzata delle destre in molti paesi europei è una realtà con cui fare i conti. Arrivato al potere col sostegno di tutte le forze democratiche e come ultimo argine alla destra xenofoba di Marine Le Pen, per Macron ora il rischio è di essere ricordato come colui che ha ripulito l’immagine di alcuni dei più autoritari leader arabi.
articolo a cura di Lorenzo Giovannetti