La data del 6 gennaio 2022 ha tutte le carte in regola per trasformarsi in un delicatissimo stress test per il presidente americano Joe Biden. Il giorno dell’Epifania, infatti, cade il primo anniversario dell’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti da parte di un gruppo di violenti sostenitori dell’ex presidente Usa, Donald Trump. I facinorosi, le cui immagini in quelle drammatiche ore hanno fatto il giro del mondo, erano convinti che il democratico avesse trionfato grazie a una massiccia dose di brogli e volevano interrompere la certificazione del voto elettorale da parte del Congresso, ultimo passaggio necessario a dare a Biden le chiavi della Casa Bianca.
Biden-Trump, sfida a distanza in tv
A un anno di distanza, l’attuale presidente si trova di fronte a una sfida non da poco. Per la serata del 6 gennaio, infatti, Biden ha annunciato che parlerà alla nazione per commentare i fatti di Capitol Hill in una commemorazione ufficiale. Nelle stesse ore anche Trump avrebbe dovuto rivolgersi al Paese per dare “la sua versione dei fatti”. Tuttavia, l’ex inquilino della Casa Bianca ha annunciato l’annullamento della conferenza stampa incolpando i media e la commissione d’inchiesta della Camera nata per far luce sulla rivolta al Campidoglio dello scorso anno. “Alla luce della totale parzialità e disonestà” della commissione, composta da “democratici e due repubblicani falliti” e dei “fake media”, cancello la conferenza stampa di giovedì “e discuterò invece molte di queste questioni importanti al comizio che terrò il 15 gennaio in Arizona. I due “repubblicani falliti” a cui fa riferimento l’ex inquilino della Casa Bianca sono Liz Cheney e Adam Kinzinger, esponenti del GOP contrari alla linea di Trump e coinvolti nei lavori della commissione d’inchiesta.
L’atteggiamento moderato del presidente
Nonostante lo “scampato pericolo” di un confronto a distanza con Trump, Biden nel suo discorso dovrà tentare di bilanciare gli attacchi contro il suo predecessore con la necessità di non politicizzare eccessivamente il discorso sui drammatici avvenimenti del 6 gennaio scorso. Sin da quando si è insediato alla Casa Bianca, infatti, il democratico si è mostrato piuttosto distaccato dalla gazzarra politica che ha fatto seguito ai fatti di Capitol Hill. Il capo di Stato americano, ad esempio, ha commentato sempre molto asetticamente i passaggi dell’impeachment contro Trump, accusato di incitamento alla rivolta dalla Camera dei rappresentanti e poi salvato dal Senato. Allo stesso modo segue a debita distanza i lavori della commissione d’inchiesta che il Congresso ha formato per far luce su quanto accaduto quella fatidica notte. In altri termini, Biden preferirebbe passare oltre: concentrarsi sull’agenda economica, sulle riforme e sul rilancio della politica internazionale americana.
Ma il dibattito resta caldissimo
I suoi tentativi di “sedare” il dibattito sull’assalto al Congresso si sono finora rivelati vani. I lavori della commissione d’inchiesta parlamentare sulla rivolta del 6 gennaio riempiono ancora i notiziari e i giornali americani. I deputati che compongono il comitato hanno chiamato in causa il pantheon del mondo trumpiano, con l’obiettivo di capire se l’ex presidente ha effettivamente causato (o semplicemente lasciato esplodere) la rivolta a Capitol Hill. Steve Bannon, Mark Meadows, Michael Flynn: sono questi alcuni dei nomi più in vista tra i convocati dal panel.
La scomunica di Liz Cheney, repubblicana anti-trumpiana
La scorsa settimana hanno fatto molto scalpore le dichiarazioni di Liz Cheney, figlia dell’ex vicepresidente Dick Cheney “scomunicata” dai repubblicani per le sue posizioni anti-trumpiane. Secondo Cheney, vicepresidente della commissione d’inchiesta, alcuni dei più stretti collaboratori di Trump – durante la rivolta – lo avrebbero supplicato di intervenire per fermare gli assalitori. Persino la figlia del Tycoon, Ivanka Trump, avrebbe intimato al padre di arginare in qualche modo quella follia. Altri testimoni, tra cui alcuni agenti di polizia del Campidoglio, affermano che molti dei dimostranti urlavano frasi come: “Ci manda Trump”, oppure “Stop the steal”, slogan coniato come protesta contro i brogli che avrebbero falsato le presidenziali vinte da Biden.
Cheney: “O con la Costituzione o con Trump”
Insomma, i fatti di Capitol Hill tengono ancora banco. Deputati e senatori del Partito democratico, ma anche repubblicani contrari alla linea di Trump, tengono ben acceso il fuoco dello scontro. In un’intervista all’emittente Abc News, Liz Cheney ha dichiarato – senza se e senza ma – che gli americani devono scegliere se stare con la Costituzione o con Trump. Tertium non datur. La presidente della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, è stata tra i principali promotori della creazione di una commissione d’inchiesta “sul modello di quella nata per l’11 settembre 2001”. Per lei, come per molti altri membri del Congresso, la rivolta al Campidoglio non è solo il centro di una battaglia ideologica o la rappresentazione di uno scontro da vincere per assicurare la continuità della “più grande democrazia del mondo”. No. Per loro è anche una questione personale.
Alcuni rivoltosi, tanto per dirne una, si aggiravano nei corridoi di Capitol Hill sussurrando con voce sinistra “Nancy, Nancy!”. Un po’ come Jack Nicholson in Shining. Alcuni deputati e senatori inviavano messaggi di addio a mogli, mariti e figli, tanta era la paura di non uscire vivi da quella situazione. Insomma, un conto è giudicare freddamente l’accaduto dall’esterno, un conto è aver vissuto quell’esperienza sulla propria pelle.
L’intelligence: “Possibili fonti di minaccia in occasione dell’anniversario”
Il clima in vista dell’intervento di Biden, che sarà accompagnato dalla vice Kamala Harris, rischia di farsi molto caldo nonostante il passo indietro di Trump. In un documento d’intelligence pubblicato dalla Cnn si legge che i funzionari federali temono la possibilità che “fonti di minaccia” possano trarre vantaggio dall’imminente anniversario dell’attacco al Campidoglio degli Stati Uniti, senza tuttavia menzionare minacce specifiche o credibili. “Valutiamo che attori di minacce cercheranno di sfruttare l’imminente anniversario della rivolta del 6 gennaio 2021 al Campidoglio degli Stati Uniti per promuovere o possibilmente commettere violenza”, si legge nel dossier. A livello internazionale, secondo la valutazione dell’intelligence, Cina, Iran e Russia hanno “amplificato i contenuti riguardanti la rivolta al Campidoglio e continuano a diffondere narrazioni fasulle sulla frode elettorale”.
Attesa per le parole di Trump (rimandate)
Le uniche fonti a cui è possibile affidarsi per capire cosa si celi dietro il dietrofront di Trump sono le indiscrezioni filtrate sinora sulla stampa Usa. Il Washington Post – che cita una fonte coperta vicina al dossier – afferma che Trump aveva convocato i giornalisti senza avere ben chiaro cosa dire in merito alla rivolta dello scorso anno, con l’idea di scagliarsi genericamente contro i media contrari alla sua linea. Inoltre, spiega ancora il Post, lo staff di Trump sarebbe rimasto sconcertato di fronte al cospicuo numero di giornalisti accreditati per l’evento. La conferenza, secondo gli strateghi del Tycoon, poteva risolversi in un tiro al bersaglio da cui Trump, per usare una tipica espressione gergale della politica americana, sarebbe uscito “grigliato” a puntino dalle domande dei reporter. Per questo, ragiona il quotidiano Usa, si è scelto di optare per una sorta di “show” in Arizona, in cui Trump può esprimersi liberamente in solitaria.
Il sito di approfondimento americano Politico lega invece la decisione di Trump alle pressioni interne al Partito repubblicano, tanto da descrivere l’annullamento della conferenza stampa come “una buona notizia” per i senatori del GOP. I conservatori, spiega il portale d’informazione, sono tutt’altro che entusiasti all’idea di tornare a discutere delle rivendicazioni di Trump sulle presidenziali del 2020, considerate ormai un argomento da accantonare. La mossa, inoltre, ha consentito ai repubblicani di non dover tener d’occhio la TV nell’anniversario dell’attacco al Campidoglio, né di affrontare un diluvio di domande sulle dichiarazioni di Trump nei giorni immediatamente successivi.