La primavera appare lontana nell’Italia alle prese con Omicron, la crisi energetica, la partita del Quirinale e le incertezze politiche, ma la ritualità della stagione delle nomine non passa di moda. E come accaduto negli scorsi anni, in una situazione di ben più acuta precarietà, non sarà certamente la pandemia a fermare la corsa ai rinnovi dei cda nelle partecipate pubbliche e negli enti e nelle società strategiche più interessanti per i decisori politici.
Un nuovo schema di nomine per le partecipate con il nuovo anno
Il nuovo anno porterà in dote il nuovo, diverso schema in arrivo per le nomine alle partecipate, come è stato sino ad ora in questa legislatura nel 2018 fu il governo Conte I a trazione M5S-Lega a scegliere i vertici di Cassa Depositi e Prestiti e Ferrovie dello Stato, che nel 2021 il governo Draghi ha ribaltato sulla scia di decisioni prese dal premier in pressoché totale solitudine, con l’ausilio di pochi consiglieri (tra tutti Daniele Franco, Alessandro Rivera, Francesco Giavazzi). Nel 2020, invece, le nomine sono uscite dalla quarantena assieme al governo giallorosso, col Conte-bis che ha rinnovato i vertici di Eni, Enel, Leonardo nominando presidenti graditi ai pentastellati e confermando gli ad scelti in precedenza dal Partito Democratico nell’era Renzi.
Draghi non può agire come uomo solo al comando
Quest’anno, la situazione si fa più liquida. Draghi non ha da un lato la volontà e dall’altro la forza legata al contesto emergenziale e allo sprint dei primi mesi di governo per agire da uomo solo al comando. La politica ha ripreso il suo corso, e l’ampia coalizione di unità nazionale mira a far sentire la propria voce. Inoltre, vi è il dubbio stesso sulla natura dell’esecutivo che ufficializzerà le nomine: l’ex governatore della Bce sarà eletto al Quirinale? Se sì, chi prenderà il suo posto e con che schema? E nel caso non venisse eletto, la maggioranza terrà fino a primavera?
Il Conte II “nato essenzialmente per fare le nomine”
“Il governo Conte II è nato essenzialmente per fare le nomine” dopo il collasso dell’esecutivo gialloverde, ci ricordava ai tempi un’autorevole fonte romana che conosce bene gli ambienti di Palazzo Chigi. “La ricchezza delle partite in ballo nel 2020” giustificava allora “la convergenza che ha riportato il PD al governo”, ma oggi negli ambienti del potere capitolino si sottolinea che una mera corsa all’occupazione delle nomine non potrebbe essere motore principale della nascita di un nuovo esecutivo in caso di trasloco di Draghi al Colle. Sì, perché se da un lato la partita appare a un primo sguardo meno combattuta rispetto al passato, dall’altro va studiata in prospettiva. Il 2022 è infatti destinato ad essere caratterizzato tante da partite con esiti prevedibili quanto da sfide capaci di condizionare per lungo tempo il sistema-Paese.
Alverà-Snam e Gallo-Italgas: poltrone blindate
Due poltrone sembrano, in quest’ottica, blindate. Marco Alverà, ad di Snam e Paolo Gallo, suo collega in Italgas, vanno verso una quasi certa riconferma sulla scia degli ottimi risultati raggiunti, del consolidamento del Paese nel quadro della transizione e dell’importanza di una continuità gestionale nel mondo dell’energia in un periodo di acuta volatilità. Con Claudio Descalzi, ad Eni, si consoliderebbe un trio di testa nel mondo dell’oil&gas nazionale; per le presidenze bisogna ricordare che i numeri uno di Italgas, Alberto Dell’Acqua, e di Snam, Nicola Bedin, sono stati scelti rispettivamente in quota Lega e M5S, formazioni che ad ora fanno parte della maggioranza di governo.
Qualora qualcosa dovesse evolvere, è chiaro che la partita dovrebbe essere letta nel quadro di una spartizione simil-Rai dei singoli posti di diversi consigli di amministrazione. Secondo quanto scrive Il Giornale, la prova generale di questo processo è avvenuta a fine dicembre con Invimit. Nel rinnovo del cda di “Invimit, la Sgr immobiliare del Tesoro, sono stati confermati il presidente Nuccio Altieri (in quota Lega) e l’ad Giovanna Della Posta mentre gli altri componenti sono nuovi”, come ricordato dal quotidiano di via Negri: “l’ex Generali Raffaele Agrusti, l’avvocato Carlo Cerami (quota Pd) e Monica Scipione”.
Cassa Depositi e Prestiti, un ruolo pivotale
Cassa Depositi e Prestiti, che entra nel pieno del mandato di Dario Scannapieco, sarà attore pivotale in diverse partite: con Snam e Italgas, sue partecipate tramite CDP Reti, ovviamente. Ma anche con Fincantieri, chiamata al bivio tra la primazia dell’ala militare e la crescita di importanza di quella civile in seno alla sua organizzazione. In quest’ottica il ruolo dell’amministratore delegato Giuseppe Bono potrebbe essere messo in discussione non solo per l’età dell’ad (77 anni) ma anche per gli ultimi sviluppi legati all’interesse dimostrato dal gruppo per il business cannoni e siluri di Leonardo, OtoMelara-Wass. Bono, fautore della presenza di Fincantieri come attore leader nei programmi di Difesa comune europea, potrebbe traslocare nel ruolo di presidente e lasciare la guida di un gruppo in grado di diventare la controparte dell’ultra-atlantista Leonardo prendendo una parte del suo business che la renderebbe in grado di competere con altri colossi europei in diverse gare.
La linea della continuità, in caso di successo del deal vedrebbe la promozione di Giuseppe Giordo, attuale capo della divisione militare, o Fabio Gallia, attuale Direttore Generale, nel ruolo di ad. Mentre un passaggio di OtoMelara in mani franco-tedesche alzerebbe le quotazioni per Luigi Matarazzo, attuale Direttore Generale della Divisione Navi Mercantili in Fincantieri.
A CDP, soprattutto in caso di cambio di governo, dovrà essere appaltata l’attività di presidio di un interesse pubblico che oggi è diviso tra il “modello Draghi”, col premier favorevole al passaggio di OtoMelara ai franco-tedeschi di Knds in nome dell’alleanza post Trattato del Quirinale, e il metodo di Lorenzo Guerini, ministro della Difesa che punta al parallelo rafforzamento dei due campioni nazionali del settore militare.
Tim, una partita decisiva
Altra partita importante sarà chiaramente Tim, ove CDP è presente come azionista e su cui il potere pubblico deve decidere se utilizzare o meno il golden power in caso di proseguimento dell’offensiva di KKR per il suo controllo; in vista di questa scelta, il governo Draghi o il suo successore dovrà affrontare assieme a CDP il cda straordinario di Telecom Italia per nominare Pietro Labriola ad con piene deleghe, al posto di Luigi Gubitosi che si è dimesso lo scorso 17 dicembre. La nomina di Labriola ufficializzerà un cambio di governance, che potrebbe riguardare anche altre prime linee del gruppo, in vista della presentazione alla comunità finanziaria di un nuovo piano industriale prevista per il 2 marzo.
Sace e WeBuild, si prepara l’assalto?
La politica si potrebbe scatenare qualora nel circolo delle nomine rientrassero altre due aziende nel perimetro del Tesoro il cui management è potenzialmente passabile di sostituzione e che rappresentano l’ultima ridotta di quel partito dalemiano che il governo Draghi ha iniziato sistematicamente a smantellare dalle istituzioni: SACE e WeBuild, aziende chiave (ne abbiamo parlato) per la proiezione del Paese ai tempi della ripresa e del PNRR e ponti “atlantisti” per l’internazionalizzazione economica del Paese.
SACE è prossima a passare da CDP al Mef e il suo presidente, il dalemiano Rodolfo Errore, si vocifera possa essere sostituito, mentre più sicuro appare Donato Iacovone, ad di WeBuild, in cui però il peso di CDP, roccaforte draghiana, non va sottovalutato. E un passaggio del premier al Colle non rallenterebbe, ma piuttosto accelererebbe il processo di transizione avviato nel 2021. Con la differenza che quest’anno i partiti sono più vivi. Difendono progetti (esempio classico: M5S con la rete unica Tim-Open Fiber, il PD con l’affare OtoMelara), guardano con interesse a nomi, membri di Cda (soprattutto Lega e Forza Italia chiedono maggiore spazio), promuovono le loro agende. L’anno prossimo, con ogni probabilità, toccherà di nuovo a loro, specie se le nomine saranno successive a una tornata elettorale. Il complesso 2022 sarà la “palestra” per prepararsi a una normalizzazione che, in fin dei conti, rimetterà la vera politica al centro.