Lo hanno chiamato il “fortino della droga”, buco nero di risse, spaccio, accoltellamenti, prostitute e viados sollevando lo sdegno di istituzioni e opinione pubblica. L’antropologo anarchico Andrea Staid gli ha dedicato ampi passaggi e riflessioni nel suo libro “I dannati della metropoli” che indaga l’esistenza di una città legittima e un’altra illegittima dentro ogni grande centro urbano. È viale Bligny 42 a Milano, lungo l’asse che collega Porta Romana a Piazza 24 Maggio e i Navigli. Tutto un fiorire di localini, negozietti, appartamenti affittati a studenti dell’Università Bocconi che si trova a un tiro di schioppo.
Tutto tranne quel maledetto civico – il 42 – che per anni ha impestato la città. E che ora, almeno in parte, deve tornare ai suoi legittimi proprietari. Due fratelli egiziani – Aziz Tarek Fathy Ahmed e Aziz Hatem Fathy Hamed Hebraim – assolti nel 2021 dalla Corte d’Appello di Milano dai reati contestati dopo la confisca del loro micro appartamento al piano terzo del “fortino” da oltre 200 locali. Che nel corso della sua esistenza ne ha viste di ogni colore: dalle basi di Avanguardia Operaia, secondo lo storico giudice istruttore meneghino Guido Salvini, passando per l’atelier di Maurizio Cattelan, fino al soprannome che si è guadagnato già decenni e decenni orsono: “el Camerùn”, fra ironia e disprezzo, per l’attitudine a diventare un melting pot di lingue e migranti vari non sempre in convivenza pacifica. Per portare la pace ci era voluto il muso dello Stato: forze dell’ordine prima e pm dopo.
Il Comune deve sfrattare tre associazioni per ridare l’immobile ai fratelli egiziani
Ora il Comune di Milano dovrà sfrattare le associazioni del terzo settore che lì hanno messo base dal 2017 per dare vita a progetti a finalità sociali, come emerge da una determina dirigenziale della Direzione Politiche sociali del 14 gennaio. Si tratta dell’Associazione 3,2,1, l’Associazione Bligny 42 e l’Associazione Spazio Nour a cui lo spazio confiscato ai due fratelli egiziani era stato affidato temporaneamente in attesa di poterlo mettere a bando con una procedura di assegnazione pubblica.
E invece, scrive il dirigente di Palazzo Marino Michele Petrelli, ora va chiesta “la restituzione delle chiavi” per dare atto al “provvedimento di revoca della confisca” come imposto molto chiaramente dalla funzionaria giudiziaria della Corte d’Appello Giulia Pellegrino lo scorso 24 giugno, dopo che i giudici di secondo grado hanno dichiarato i due imputati non colpevoli. Accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e condannati in primo grado a 8 mesi ciascuno per aver tratto profitto dall’aver affittato l’appartamento, poi sottoposto a sequestro, a migranti senza permesso di soggiorno provenienti dal Gambia, con letti e materassi poggiati sul pavimento, per 150 euro mensili a testa. Completamente assolti (il fatto non sussiste) perché secondo i giudici Antonio Nova, Micaela Serena Curami e Roberto Arnaldi “manca totalmente la prova della cessione a titolo oneroso” e “la prova dell’ingiusto profitto” si legge nella sentenza.
Bligny 42, una batosta procedurale
I fratelli Aziz non sono infatti stati sentiti in istruttoria dibattimentale, né tantomeno sono state acquisite dichiarazione nel corso delle indagini preliminari, come non sono stati verbalizzati i migranti del Gambia. L’unica testimonianza è quella di un ispettore capo di polizia che dice di averli interrogati, prassi vietata dal codice di procedura penale che boccia come testimonianza indiretta anche “gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria”, che “non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni” (articolo 195 comma 5 cpp). Una batosta procedurale che ha portato la Corte ha ordinare la restituzione dell’immobile. È da marzo 2021 che attendono di rientrare in possesso del loro bene. C’è da sperare che non facciano causa allo Stato.