A Mediaset e in Lega Serie A di sicuro hanno preso le critiche dell’allenatore della Lazio, convinto che la Coppa Italia sia il torneo più antisportivo del mondo, con un’alzata di spalle. Il format che protegge le big potrà non piacere ai puristi delle competizioni aperte a tutti (peraltro il meccanismo delle teste di serie non è stato di certo inventato in Italia), ma anno dopo anno sta consolidando la ex coppetta che non interessava a nessuno come un trofeo per cui vale la pena spendersi. In campo, dove le formazioni imbottite di riserve sono un ricordo del passato, e anche davanti alla televisione che è il vero metro di giudizio su cui si misura il successo del formato.
I quarti di finale su gara secca dell’edizione 2021/2022 sono stati un successone: il ritorno di Mourinho a San Siro contro l’Inter (4,9 milioni certificati dall’Auditel), il poker del Milan alla Lazio (4,6) e la seconda di Vlahovic in maglia bianconera con il Sassuolo (5,027) hanno fatto registrare ascolti altissimi e anche Atalanta-Fiorentina, che si giocava alle 18, si è difesa con un ascolto medio vicinissimo ai 2 milioni. Non una sorpresa, visto che ai primi cinque posti della classifica dei programmi sportivi più visti del 2020 ci sono solo sfide di Coppa Italia e anche nel 2021 i dati sono stati più che confortanti con semifinali tra Inter e Juventus e finale con bianconeri e Atalanta a cavallo di quota 8 milioni di telespettatori.
La Coppa Italia piace tanto, insomma. Ed è diventata una gallina dalle uova d’oro: Mediaset ne ha strappato i diritti alla Rai per il triennio iniziato in questa stagione mettendo sul piatto oltre 48 milioni di euro all’anno fino al 2024, un balzo del 39% rispetto al triennio precedente targato Rai in cui c’era già stata una progressione notevole. A esserne felici sono prima di tutto i presidenti, cui andrebbe semmai chiesto cosa ne pensano di qualche loro dipendente libero pensatore che rivorrebbe la vecchia Coppa Italia, quella del tutti dentro dalla Serie C alla Serie A sul modello della FA Cup inglese che ha, però, una storia diversa ed è venduta a un pubblico abituato a vedere i grandi campioni della Premier League giocarsela sul campo di dilettanti in cerca di gloria. In Italia la cosa non funziona e l’equilibrio è stato trovato diversamente. Anche la sponsorizzazione Frecciarossa (che riguarda pure la Supercoppa italiana) porta nelle casse circa 5 milioni confermando come le aziende vedano nell’associare il proprio nome a quello del torneo un vantaggio immediato.
Ai critici andrebbe poi ricordato che il tabellone costruito con ingresso ritardato delle migliori (solitamente dagli ottavi di finale tra dicembre e gennaio), con garanzia della partita in casa nelle sfide secche fino alla semifinale, non è una novità degli ultimi tempi. Anzi. Si fa così, con qualche aggiustamento qua e là, già da una dozzina di anni e le favole non sono comunque mancate: la finale del Palermo nel 2011, quella della Fiorentina nel 2014 (edizione in cui l’Udinese arrivò in semifinale) e l’Alessandria nel penultimo atto nel 2016. Che ovviamente portò a un risultato scontato sul campo e con bassi riscontri televisivi e di pubblico negli stadi. Statisticamente, negli ultimi dieci anni, anche con la formula blindata non è detto che le big siano sempre arrivate in fondo: la Juventus è stata presente 8 volte nelle semifinaliste, il Milan 5 come il Napoli e la Lazio, l’Inter solo 4. Spazio per le altre, dunque, ce n’è a prescindere dalla formula che ha prodotto però un circolo virtuoso in cui nessuno ha più snobbato la competizione per la quale, all’inizio degli anni Duemila, si era anche ipotizzata un’ingloriosa eutanasia per mancanza di interesse.
foto: bolognafc.it