Le separazioni sono sempre traumatiche. D’altronde separare è comunque rompere qualcosa. E quando si rompe ci sono dei cocci e qualcuno che si arrabbia. Jannick Sinner si separa dal suo maestro e mentore, Riccardo Piatti. La notizia era nell’aria e girava negli ambienti del tennis dalla fine dello scorso anno, mancava solo la conferma ufficiale ma lo stato delle cose è già scritto con il tennista ad allenarsi in questi giorni a Montecarlo senza Piatti. Ieri il comunicato di addio.
La versione di Jannick Sinner
A gennaio poi, durante l’ottimo Australia Open giocato dall’azzurro, ecco girare le voci di una «spalla tecnica» da affiancare a Piatti ed al suo gruppo di lavoro, una spalla di grande nome, magari; uno su tutti: John McEnroe.
Voci che infastidivano ma che, ovviamente, avevano il loro bel fondo di verità.
Ed oggi nell’ambiente è il momento delle cattiverie, della rabbia per una storia finita. Magari non urlata, solo confessata agli amici più intimi.
Chi sta dalla parte dell’allenatore in questi giorni racconta di un Sinner «che sarebbe cambiato negli ultimi mesi», di un ragazzo che visti i risultati e le prime grandi quantità di notorietà piombatigli addosso «si è montato un po’ la testa».
La versione di Riccardo Piatti
Dall’altra parte invece si racconta di una realtà totalmente differente. «Con Piatti ormai non cresceva più…» sostiene qualcuno secondo cui Sinner non è migliorato in questi ultimi tornei come meritava visto il suo smisurato talento.
In tutto questo al centro dei dissidi ci sarebbe anche la programmazione. Parola chiave per un professionista, parola chiave soprattutto per un ragazzo di grandissime speranze. Inutile dire che Sinner è ormai un personaggio e che qualsiasi torneo farebbe carte false per averlo nel suo tabellone; questo anche per dare via ad un meccanismo di business preciso: Sinner significa biglietti venduti e diritti tv; significa soldi per gli organizzatori con lo sponsor più disposto ad investire davanti ad un gruppo di partecipanti più attraente e qualificato.
Questo però fa a pugni con la crescita tecnica di un ragazzo dai messi smisurati ma dalle lacune tecniche conclamate (il servizio che deve guadagnare almeno 15 km/h, come parso evidente nella sconfitta con Tsitsipas a Melbourne, ed il gioco vicino a rete). Quindi da una parte c’è chi nell’entourage per motivi economici spinge per giocare-giocare-giocare; dall’altra invece l’allenatore che preferisce allenare-migliorare-crescere. Le coppie allenatore-giocatore che funzionano da sempre sono quelle capaci di trovare il giusto equilibrio davanti a questo bivio.
Stan Wawrinka o John McEnroe?
Comunque sia negli ambienti federali al dispiacere per la fine del rapporto professionale Piatti-Sinner c’è la speranza che davvero il prossimo allenatore dell’azzurro sia lo svedese Magnus Norman, ex ottimo giocatore ma altrettanto ottimo allenatore al fianco, negli anni migliori, dello svizzero Stan Wawrinka.
L’alternativa infatti era davvero quella di McEnroe, di sicuro una unione che avrebbe conquistato titoli e pagine di giornali come poche altre cose dal punto di vista mediatico ma che da quello tecnico avrebbe dubbi mostruosi. Lo statunitense infatti non ha mai davvero allenato un giocatore, sarebbe quindi alla prima esperienza; poi, davanti al carattere che tutti conoscono, sarebbe stato difficile pensare ad un connubio perfetto tra l’irascibile John ed il calmo, freddo altoatesino (con residenza a Montecarlo per ovvie ragioni fiscali).
Oggi però è il giorno della rottura, nella settimana di San Valentino. Vedremo se si sarà trattata della scelta corretta: solo il campo lo potrà dire.