Rifiuti sparsi sul pavimento, pile di piatti sporchi ammassati nel lavandino della cucina, cibo scaduto nel frigorifero. E poi, in camera da letto o nel salotto, a seconda delle dimensioni dell’abitazione, un corpo disteso – molto spesso uno scheletro – morto in solitudine da chissà quante settimane, mesi o forse addirittura anni. In sottofondo, il ronzio incessante delle mosche e lo strisciare silenzioso dei vermi.
Lo scenario che gli operatori giapponesi si trovano ad affrontare è sempre lo stesso, con pochi particolari a differenziare un caso dall’altro. Se il disordine e le macchie lasciate a terra dai fluidi corporei delle vittime possono in qualche modo essere descritte, il fetido odore che risale dalle salme inermi e si appiccica alle pareti non può che essere immaginato.
Kodokushi, la morte solitaria ed il Ministero giapponese della Solitudine
Accade questo, in Giappone, ogniqualvolta una persona muore di Kodokushi o “morte solitaria”. E accade sempre più spesso, a leggere i dati che da decenni delineano una tendenza più comune di quanto non si possa immaginare. Il Kodokushi è diventato un problema enorme a Tokyo e dintorni, tanto che il governo nipponico, in seguito alla pandemia di Covid-19 che ha aggravato tensioni sociali (e non solo quelle), ha istituito il Ministero della Solitudine. È sbagliato, tuttavia, pensare che un fenomeno del genere, descritto per la prima volta negli anni ’70 dai media nipponici, sia un fenomeno relegato al solo Giappone. La morte solitaria, infatti, ha da tempo varcato i confini giapponesi per approdare un po’ in tutto il mondo, Italia compresa.
Morte solitaria: casi anche in Italia
A proposito dell’Italia, l’ultima morte solitaria raccontata con certa enfasi dalle cronache italiane è avvenuta a Como. Qui, il corpo senza vita della signora Marinella Beretta è rimasto per due lunghissimi anni rinchiuso in una casa di Prestino – quella della vittima – prima che i vigili del fuoco lo rinvenissero in un clima quasi irreale. Dalle prime ricostruzioni pare che la donna, 70 anni, abbia avuto un malore fatale mentre si trovava seduta sulla poltrona del suo salotto. Nessuno, in due anni, sembrerebbe essersi fatto vivo per chiedere informazioni di Marinella.
Un altro recente dramma figlio della solitudine è andato in scena nella periferia Prato, nel cuore della Toscana. La 67enne Ada Faia, ex maestra in pensione da quattro anni, abitava da sola. Da un mese non rispondeva più a messaggi e chiamate di una sua vecchia collega. Anche in questo caso, sono stati i vigili del fuoco a scongelare la salma della signora.
Scavando più a fondo emergono tantissime altre notizie simili. Il più delle volte questi fatti di cronaca non ci toccano neppure, visto che gli episodi in sé confluiscono nel mare della cronaca, mentre i nomi delle vittime sono appena accennati dalle loro iniziali. Impossibile riflettere su qualcosa che, almeno all’apparenza, non conosciamo.
L’ombra del Kodokushi: in Giappone fenomeno diffuso, ma mancano dati completi
In Giappone, i riflettori si sono accesi per la prima volta sul Kodokushi nel 2000. Il cadavere di un uomo di 69 anni era rimasto per tre anni sul pavimento di un anonimo appartamento senza che nessuno si interrogasse della misteriosa scomparsa del defunto. Dal giorno della sua morte al ritrovamento, l’affitto mensile e le utenze venivano prelevati automaticamente dal conto bancario della vittima. Alla fine, dopo che i risparmi erano esauriti, le autorità decisero di visitare la residenza dell’uomo. Quello che videro fu raccapricciante. Non c’era nessuno in casa, se non lo scheletro di una persona sdraiata nei pressi della zona cucina.
È difficile avere statistiche aggiornate sul Kodokushi. Le cifre sono spesso incomplete o imprecise, il più delle volte per mancanza di informazioni. È infatti quasi impossibile controllare cosa accade nelle abitazioni private di ciascun cittadino residente in un Paese che conta 124 milioni di abitanti. Nel 2009 NHK, l’emittente pubblica nazionale, ha parlato di 32mila anziani morti in solitudine.
Più in generale, il numero di Kodokushi è triplicato nel periodo compreso tra il 1983 e il 1994, con 1.094 decessi registrati solo a Tokyo nel 1994, saliti poi a oltre 2.200 nel 2008 e a 5.513 nel 2018. Tra l’altro quest’ultimo dato riferito alla capitale nipponica è impressionante, perché supera di quasi sei volte il numero di omicidi accertati in tutto il Giappone.
Giappone: la spinta capitalista del Dopoguerra e l’emergere del Kodokushi
Le cause delle morti solitarie sono molteplici e tra loro interconnesse. In Giappone il quadro si è aggravato da quando il Paese ha spinto sulla leva economica per cercare di competere con l’Occidente. Il grande sforzo compiuto da Tokyo nel secondo dopoguerra ha generato una delle economie più solide del pianeta. Ma la crescita giapponese portava con sè anche un lato oscuro, che fa rima con quello sfilacciamento dei tradizionali legami comunitari che adesso, assieme all’individualismo sfrenante, sta minacciando la società nipponica. Le alienanti politiche abitative e sociali attuate dal Giappone negli anni ’60 hanno creato un terreno fertile per l’insorgere di fenomeni sinistri come il Kodokushi.
Archiviati gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, le aspirazioni del Giappone potevano essere sintetizzabili con la volontà di avere uno stile di vita moderno, specchio del way of life americano. Enormi complessi di appartamenti governativi iniziarono così ad affollare le periferie delle città, fino a trasformarle in megalopoli senza volto. Ciascun alveare – i cosiddetti “danchi” – ospitava migliaia di giovani salaryman incaricati di ricostruire l’economia nazionale in un ambiente asettico.
Questi complessi abitativi hanno sì introdotto il Giappone a una vita occidentale, incentrata sulla famiglia nucleare, ma dall’altro lato hanno contribuito a disintegrare le tradizionali case multigenerazionali. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quegli stessi appartamenti, costruiti per far rinascere il Paese, si sarebbero, di lì a qualche decennio, trasformati in anonimi cimiteri per migliaia di anziani rimasti soli ad attendere il giorno del giudizio. Ma, del resto, il modo in cui moriamo rispecchia il modo in cui viviamo.