Le monarchie del Golfo si ripuliscono l’immagine con gli investimenti nello sport. E l’Europa resta a guardare. È passato poco più di un anno dalla controversa intervista di Matteo Renzi al principe saudita Mohammed Bin Salman nell’ambito della Future investment iniziative, “la Davos del deserto”. Era il 28 gennaio 2021, e l’incontro tra un senatore della Repubblica italiana e il sanguinario erede al trono della più importante monarchia del Golfo aveva sollevato un polverone di polemiche e indignazione, sia nell’opinione pubblica italiana che in vari settori della classe politica. L’evento, alla sua quarta edizione, trattava i temi della sostenibilità, del lavoro e dell’urbanistica e aveva lo scopo di ripulire l’immagine internazionale dell’Arabia Saudita. Dopo il caso dell’omicidio di Jamal Khashoggi, a cui si aggiungono le violazioni dei diritti umani e la guerra in Yemen, la reputazione di Riyad nel mondo è ai minimi storici, tra i leader occidentali solo Macron ha deciso di incontrare MBS negli ultimi tre anni.
Prosegue la campagna di riabilitazione del principe saudita
Lo sdegno e le polemiche per la partecipazione di Renzi allo scomodo incontro con il principe saudita sono però finiti in una bolla di sapone. Lo scorso luglio il governo italiano ha rimosso la clausola (End user certificate rafforzata) che vietava la vendita di armi destinate alla guerra in Yemen, mantenendo solamente lo stop alla vendita di missili e bombe. Parallelamente, la campagna internazionale del principe saudita che mira alla riabilitazione della propria immagine in Europa e nel mondo prosegue indisturbata. E passa, in larga parte, attraverso gli investimenti nel mondo dello sport.
Dal calcio alla boxe: gli investimenti sauditi
Dopo anni di trattativa con la Premier League sul tema dei diritti televisivi (in aperto scontro con l’emittente qatariota BeinSport), lo scorso ottobre il Fondo sovrano saudita (PIF) ha acquistato il Newcastle United per una cifra pari a 300 milioni di sterline. Yasir Al-Rumayyan, governatore del fondo e capo del gruppo petrolchimico Aramco, già partner della Formula 1, è il nuovo presidente non esecutivo del club inglese, mentre Amanda Staveley della britannica PCP Capital Partners presiede il consiglio di amministrazione. L’operazione è stata resa possibile dalla distensione tra Riyad e Doha, sancita lo scorso gennaio dalla dichiarazione di Al-Ula, e di fatto permette all’Arabia Saudita di entrare prepotentemente nell’élite del calcio europeo e di affiancare il City degli sceicchi e il Psg degli emiri nel ristretto circolo dei club stato presenti nel panorama calcistico europeo.
Formula 1 e Formula E, gare nel deserto saudita
Gli investimenti di Riyad nello sport passano in gran parte anche attraverso l’organizzazione di eventi in territorio saudita. Lo scorso 5 dicembre la Formula 1 ha corso per la prima volta sul circuito di Gedda (che si va ad aggiungere a Bahrein e Abu Dhabi), mentre per la seconda volta di fila nel deserto saudita si è corsa la Parigi-Dakar si è tenuta una tappa della Formula E. A fine 2019 i riflettori si erano puntati sul Clash on the dunes, la rivincita tra Anthony Joshua e Andy Ruiz per il titolo dei pesi massimi di WBA, IBF, WBO e IBO del pugilato.
Calcio, la Supercoppa italiana a Gedda e Riyad
La stessa Italia è stata toccata direttamente dalla diplomazia dello sport di Riyad, e per due anni di fila (2018 e 2019) la Supercoppa italiana si è giocata a Gedda e Riyad. L’ultima edizione della coppa, inizialmente prevista proprio nel Golfo, si è tenuta a Milano, ma i sauditi hanno già messo 300 milioni di euro sul piatto per garantirsi l’evento e cambiare la formula della competizione ampliandola a 4 squadre. Una proposta che la FIGC non ha ancora accettato, a differenza della Liga spagnola. La Supercopa de España, pandemia permettendo, si gioca infatti da tre anni in Arabia Saudita con una nuova formula a eliminazione diretta.
Lo sportwashing come tattica di ampio respiro
Per le monarchie del Golfo il potenziale propagandistico dello sport rappresenta uno strumento fondamentale per riabilitare la propria immagine internazionale. Dall’Arabia Saudita all’Oman, ognuno di questi regni sorti nel deserto si è dotato negli scorsi anni di ambizioni programmi di riconversione economica: dalla Vision 2030 di Ryad alla UAE Vision 2030 di Abu Dhabi. I programmi di riconversione e modernizzazione puntano a rendere questi Paesi meno dipendenti dai proventi della vendita di idrocarburi all’estero, e passano anche attraverso gli investimenti nel mondo dello sport, visti come un modo efficace per instaurare nuove partnership e trasformare le città del Golfo in hub commerciali con proiezione globale.
Sportwashing, le denunce delle associazioni per la difesa dei diritti umani
Le associazioni per la difesa dei diritti umani, con in testa Amnesty International, denunciano da anni l’incompatibilità dello sportwashing con i valori che dovrebbero guidare la comunità internazionale nel suo insieme. La realtà è che troppo spesso società civile e politica reale viaggiano su binari paralleli che restano destinati a incontrarsi in pochi momenti. A dicembre si giocheranno i mondiali di calcio in Qatar, e la certezza è che ci sarà modo di discutere e indignarsi per la scelta di disputare i Mondiali in un Paese che secondo il Guardian ha visto migliaia di lavoratori asiatici perdere la vita nella preparazione dell’evento. Prima di tornare tutti quanti a sederci sul divano.