L’Italia non è un paese per vecchi e nemmeno per ricchi stranieri che vogliano mettere soldi nel calcio. Dei problemi di Suning con l’Inter sono piene le pagine dei giornali e al di là delle smentite ufficiali il tema della cessione del club nerazzurro, a meno di un lustro dal suo acquisto, è sul tavolo: sarebbe il terzo passaggio di proprietà dal 2013 a oggi, davvero troppo per dare stabilità a qualsiasi piano industriale. La famiglia Zhang fin qui ha speso (oltre 500 milioni di euro) senza raccogliere, con il progetto del nuovo San Siro ancora in fase embrionale. Anche Thohir, uscito di scena nel 2016, se n’è andato senza vincere nulla ma con almeno la soddisfazione di una discreta plusvalenza. A proposito di San Siro: Elliott che fin qui ha riversato una marea di soldi sul Milan per garantirgli stabilità (650 milioni in due anni) aspetta l’ok dal Comune di Milano per cominciare a veder rivalutato un investimento che sta dando i primi segnali positivi in campo.
E gli altri? Pallotta è uscito lasciando la Roma nei guai dal punto di vista del bilancio, senza stadio (e ci risiamo!) e con una semifinale di Champions League da esibire come vanto. Bocciato. Friedkin che gli è appena subentrato è troppo “giovane” per essere giudicato, ma fin qui ha solo pagato e il resto si vedrà… Lo stesso a Parma con Krause che si trova a gestire una squadra a rischio retrocessione. Il ricco Joey Saputo è al Bologna dal 2014, ci ha messo 200 milioni, ha un bel progetto per risistemare il Dall’Ara ma dal punto di vista sportivo i felsinei vivacchiano lontani dal salto di qualità che significa provare a giocare per l’Europa. Il suo socio iniziale Tacopina è finito a Venezia. A Firenze la luna di miele di Commisso è in fase d’esaurimento e non per colpa del solo patron americano. Ama ripetere di aver speso 300 milioni nei primi 7 mesi di presidenza, ha dotato il club di un progetto (avanzato) per un centro sportivo di primo livello ma sullo stadio il suo motto “fast, fast, fast” si è schiantato contro la burocrazia italiana. Va così a rilento da averlo indispettito al punto da cominciare ad evocare una possibile exit strategy se non gli lasciano fare quello che ha in mente.
Non passa lo straniero, insomma. Anche se il calcio italiano attira sempre più capitali da fuori. Se Suning cederà l’Inter lo farà a qualche fondo made in Usa o similari e lo stesso sta accadendo anche nelle serie minori: sono una ventina i club dalla B alla D in mano a proprietà a stelle e strisce. Il motivo? Semplice. Il calcio italiano costa ancora relativamente poco e promette margini di crescita, almeno a guardarlo da fuori. Chi è dentro, invece, ha scoperto una realtà differente e per ora paga. E basta.