di Francesco Floris
Il futuro? È delle Terapie Digitali (TDx). Ne è convinto Gualberto Gussoni, Direttore Scientifico di FADOI, Società Scientifica di Medicina Interna, e curatore di un volume pubblicato su Tendenze Nuove, rivista della Fondazione Smith Kline, nato con l’obiettivo di introdurre in Italia la nuova frontiera medico-farmaceutica. Un progetto che ha coinvolto 40 esperti provenienti da vari ambiti scientifici, lavorativi e accademici per realizzare 203 pagine di dossier ricche di spunti. A cominciare dal primo, grande, quesito: cosa sono le Terapie Digitali? “Sono tecnologie che hanno come principio attivo un software di alta qualità” spiega a True Pharma il dottor Gussoni. Come funzionano? Mentre il farmaco classico interagisce con la biologia del paziente, le Terapie Digitali puntano ai pensieri e ai comportamenti di chi le utilizza. Per agire in maniera preventiva su varie condizioni fisiche o mentali, prendendo di mira non la sintomatologia ma ciò che la può causare. Per questo motivo tra le principali applicazioni terapeutiche in via di sviluppo vi sono quelle che riguardano la sfera psichica: depressione, disturbi del comportamento alimentare, attacchi di panico, dipendenze, insonnia, schizofrenia, iperattività del bambino o deficit di attenzione. Un esempio? “Immaginiamo di avere un telefonino o un tablet sui quali sono caricati dei software con programmi di psicoeducazione” illustra Gualberto Gussoni una delle possibili applicazioni. “Ciò che viene fatto normalmente durante le sedute di psicoterapia con lo specialista può trasferito nell’interazione con un’app. Il lavoro che lo psicoterapueta fa una volta ogni due settimane può essere replicato tre, quattro, volte a settimana o al giorno, con l’operatore che da remoto riceve un report”. Cosa distingue, allora, le TDx dalle centinaia di applicazioni già oggi in commercio o scaricabili e dedicate a salute e benessere individuale? In una parola: la scienza. “Per fregiarsi del titolo di Terapia Digitale non basta aver brevettato o inventato una tecnologia – dice Gussoni –. Ci deve essere la fase di sperimentazione clinica rigorosa che produca evidenze scientifiche sulla capacità di questi dispositivi di intervenire in termini preventivi e terapeutici sulle condizioni fisiche o mentali. Devono avere alla spalle una produzione scientifica”. Tanto che l’attuale stato dell’arte in Italia fotografa un contesto in cui nemmeno una di queste terapie è approvata e autorizzata in commercio. Perché “nel momento in cui un medico dovesse proporre non più una molecola ma una terapia digitale – spiega il Direttore Scientifico di Fadoi – ci si aspetta un’efficacia almeno comparabile e per dimostrarlo servono studi”. “Noi – aggiunge – siamo convinti che possano diventare strumenti importanti e che il Servizio Sanitario Naizonale possa arrivare a rimborsarle come già accade per i farmaci e che infine possano entrare nei Livelli Essenziali di Assistenza”.
Gli autori del dossier non sono gli unici ad esserne convinti. Il mercato globale delle terapie digitali ammontava a 1,7 miliardi di dollari nel 2019. Attualmente si stima che si possano raggiungere i 9,4 miliardi di dollari entro il 2028 mente altre ricerche fissano la soglia dei 9 miliardi di dollari come raggiungibile già nel 2025 e che l’adozione delle terapie digitali da parte dei pazienti cresca di oltre 10 volte entro il 2023. Stime variabili che hanno a che fare soprattutto con il contesto regolatorio e con la molte di investimenti pubblici e privati dedicati al settore. Ma tutte convergono su un punto: a livello globale la crescita del mercato delle terapie digitali vi sarà perché necessaria per controllare i costi sanitari correlati all’aumento di incidenza e prevalenza delle malattie croniche, allo sviluppo di modelli di gestione della patologia in cui il paziente assume un ruolo sempre più attivo, all’aumento del numero di diagnosi non rilevate e alla riduzione del tempo necessario per una corretta diagnosi. In Italia sono cinque le patologie croniche inserite del Piano Nazionale della Cronicità (PNC) come “aree test” per l’implementazione e la valutazione delle TDx: diabete, scompenso cardiaco, tumore alla mammella, tumore del colon-retto e broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Ulteriori fattori di crescita sono rappresentati dall’aumento dell’adozione di apparecchi con capacità di interazione (smartphone e tablet) da parte della popolazione e quindi una crescente “educazione digitale” della popolazione tout-court, con lo sviluppo di applicazioni a finalità di salute e assistenza, e l’incremento di partnership e collaborazioni tra imprese farmaceutiche e quelle tecnologiche. Infatti, da un punto di vista regolamentare, le Terapie Digitali sono considerate a tutti gli effetti dei dispositivi medici e quando si arriverà a una fase avanzata delle stesse ci sarà da risolvere anche quest’ultimo nodo: come e cosa va rimborsato dal Ssn? Solo il software o anche l’hardware?.
Così come vi è stata, anche a causa della pandemia da Covid, un’accelerata clamorosa su telemedicina e medicina da remoto. Come potrebbe interagire la “remotizzazione” del rapporto medico-paziente con le terapie digitali? “È una storia tutta da scrivere – chiude Gualberto Gussoni – e da declinare a seconda dei casi, ma è chiaro che in alcune patologie croniche la gestione in maniera remotizzata, la riduzione delle visite vis-à-vis, degli accessi in ambulatorio o in ospedale per la sorveglianza a distanza non potrà che beneficiare dello sviluppo di queste terapie”.