Marco Potì, Stefano Minerva, Alfredo Fasiello, Massimiliano D’Angela, Michele Emiliano. E ancora Barbara Lezzi, Alessandro Di Battista, Manlio Di Stefano. Potrebbe essere un lungo elenco, spesso fatto di nomi ad oggi per lo più dimenticati dal grande pubblico, quello dei politici di profilo locale e nazionale che negli anni si sono opposti alla costruzione del gasdotto Tap (Trans-Adriatic Pipeline).
L’infrastruttura, il cui terminale in territorio italiano approda nelle località salentine di San Foca e Melendugno, è stata fortemente osteggiata da una nutrita schiera di esponenti della politica – in maniera trasversale rispetto agli schieramenti – e dei movimenti locali e nazionali, molti dei quali – salvo rarissime eccezioni – sono gradualmente passati dall’altro lato della barricata, schierandosi invece a favore del gasdotto che ha iniziato a pompare gas verso il nostro paese nel 2020.
L’irriducibile
Marco Potì è sicuramente uno di quelli che non hanno cambiato posizione. Negli ultimi giorni si è fatto sempre più acceso il dibattito sulla necessità di trovare fonti energetiche alternative rispetto al gas proveniente dalla Russia, complice il conflitto in Ucraina e l’aumento vertiginoso dei prezzi che giustamente campeggia tra le notizie principali sulla stampa italiana.
Ciononostante, il sindaco di Melendugno è tutt’oggi convinto che il Tap non sia stata un’operazione riuscita, né tantomeno in grado di sopperire a eventuali tagli alle forniture russe. In un’intervista a Panorama, Potì assicura: “Sono sempre più convinto di quello che abbiamo detto e fatto in questi anni, e alla luce di quello che sta avvenendo in queste ore in Ucraina confermo l’inutilità e la pericolosità del Tap per l’Italia e l’Europa”. La pericolosità, secondo il primo cittadino, risiede nel fatto che “trattandosi di gas ad altissima pressione dovrebbe essere messo in deserto o in mare aperto, invece l’hanno fatto in Salento dove c’è una frazione ogni tre chilometri”.
Vecchie proteste
A marzo 2017, esattamente cinque anni fa, fece scalpore la partecipazione ad una protesta No-Tap di un altro sindaco, il primo cittadino di Gallipoli Stefano Minerva (PD), che durante un sit-in degli attivisti contrari all’infrastruttura dormì nella sua auto di fronte all’ingresso del cantiere a San Foca per impedire i lavori di costruzione. Già nel 2013, inoltre, il presidente del Comitato No Tap Salento, Alfredo Fasiello, motivava l’opposizione della comunità salentina alla realizzazione del Tap con ragioni di ordine ecologico e paesaggistico. Da una parte, infatti, era necessario espiantare centinaia di ulivi per far posto all’infrastruttura, dall’altra si andava a intaccare una zona particolarmente adatta ad attrarre il turismo.
Massimiliano D’Angela, coordinatore per la provincia di Lecce del Movimento Regione Salento (MRS) è stato il principale promotore della delibera No Tap, approvata a maggioranza in Consiglio comunale di Leverano – altra località salentina interessata dalla questione – nell’ottobre 2014 e a gennaio 2015. “Con l’approvazione della delibera No Tap anche noi diamo un segno di solidarietà e vicinanza a San Foca che oggi è in prima linea per combattere contro l’approdo del gasdotto”, commentava D’Angela all’epoca dei fatti.
La versione di Emiliano
Contrario, ma con posizioni più articolate, anche il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Nel 2017 lamentava che “il governo vuole realizzare un’opera strategica e pretende di farla arrivare su di una delle più belle spiagge dell’Adriatico pugliese”. L’alternativa, presentata in accordo coi sindaci e gli assessori regionali interessati al dossier era quella di “spostarla trenta chilometri più a nord”, nella località di Squinzano.
“Questo – spiegava allora l’ex sindaco di Bari – ci consentirebbe di far arrivare il tubo in un’area già compromessa da punto di vista industriale, a ridosso della centrale Enel di Cerano”. Con buona pace degli ulivi che, invece, passavano decisamente in secondo piano. “La questione dell’espianto non è il cuore della vicenda – spiegava Emiliano – ogni anno spostiamo centinaia di migliaia di ulivi perché l’ulivo è una pianta che può essere spostata e ripiantata. Per la comunità il problema è politico, non legale: perché abusare della volontà popolare e imporre un’opera che tutti i sindaci stanno chiedendo di spostare in un altro luogo con la disponibilità della Regione a realizzarla altrove”.
Con tanto di mozione
Nel corso degli anni il Consiglio regionale pugliese ha discusso diverse “mozioni anti-Tap”, tre delle quali presentate dal consigliere Cosimo Borraccino della lista “Noi a Sinistra”. Una, quella del 21 marzo 2017 contro l’espiantazione degli ulivi, è stata invece presentata dal consigliere Ernesto Abaterusso, della lista “Senso Civico – Un nuovo Ulivo per la Puglia”. In quella stessa occasione hanno votato a favore tutti e 24 i consiglieri presenti, tutti dell’area pentastellata e della coalizione di centrosinistra a sostegno di emiliano.
I già citati Abaterusso e Borraccino, Fabiano Amati (PD), Rosa Barone (M5S), Gianluca Bozzetti (M5S), Filippo Caracciolo (PD), Cristian Casili (M5s), Angelo Cera (Udc), Grazia Di Bari (M5s), Leonardo Di Gioia (ex democratico dell’area Emiliano eletto nella lista civica Cen-sin), Antonella Laricchia (M5s), Mario Cosimo Loizzo (PD), Peppino Longo (PD, venuto a mancare a inizio anno), Michele Mazzarano (PD), Salvatore Negro (Udc), Antonio Nunziante (Italia in Comune), Donato Pellegrino (SEL), Raffaele Piemontese (PD, vicepresidente del consiglio), Alfonso Pisicchio (Senso Civico), Giuseppe Romano (PD), Antonio Trevisi (M5s), Mauro Vizzino (Italia in Comune), Sabino Zinni (Senso Civico).
Ultimo, ma non per importanza, il presidente Michele Emiliano.
I cinquestelle no-Tap
Il dibattito sul Tap ha avuto importanti riflessi anche a livello nazionale, soprattutto per quello che riguarda il Movimento 5 Stelle. Barbara Lezzi, ministra per il Sud del governo gialloverde, ha pagato di persona la “rimodulazione” delle sue posizioni sull’infrastruttura. Salentina doc, si era detta fortemente contraria alla realizzazione durante la sua ascesa politica, salvo poi precisare che era improbabile – una volta al governo – riuscire a fermare una macchina organizzativa complessa con tanto di trattati internazionali sul tavolo.
Questo era bastato a scatenare contro di lei le ire degli attivisti No-Tap e, fra gli altri, proprio del sindaco di Melendugno Potì. Bandiere del Movimento 5 Stelle bruciate in strada durante i sit-in, slogan che intimavano a Lezzi di non farsi più vedere in Salento e altre tensioni di questo tipo.
Anche Alessandro Di Battista – oggi esule del Movimento – nel corso di un raduno No Tap in Salento del 2017 dichiarava che: “Prima o poi si tornerà a votare in questo paese. E con il governo del Movimento 5 Stelle quest’opera la blocchiamo in due settimane, in due settimane”. Parole a cui, com’è noto, non sono seguiti i fatti.
Come si cambia idea
Infine, ma non meno importante, vale la pena menzionare il pentastellato Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri con delega (tra le altre cose) alle questioni relative all’energia, all’ambiente, al mare e alle relazioni bilaterali con i Paesi dell’Asia, inclusi quelli del Caucaso. Il Tap, occorre ricordarlo, è un gasdotto proposto nel 2003, costruito nel 2016 e operativo dal 2020, che porta il combustibile dal Mar Caspio – cioè dall’Azerbaigian – passando dalla Grecia all’Albania e, attraverso l’adriatico, all’Italia.
Di Stefano, che nel 2014 definiva il Tap “un progetto criminale”, a gennaio scorso ha parlato sui social dell’ipotesi di raddoppiarne la portata per aumentare l’afflusso di gas. “Stiamo lavorando da oltre un anno al raddoppio della portata della Tap da 10 a 20 miliardi di metri cubi annui. Basta potenziare le centrali di compressione lungo il tubo già esistente, in modo da poter aumentare la pressione e la quantità di gas pompato. L’infrastruttura è stata progettata in vista di questo e non sono necessarie ulteriori opere”, spiegava il sottosegretario in un messaggio su Facebook.
Cos’è il Tap
Insomma, i tempi cambiano e con essi anche le posizioni. Nelle ultime settimane per l’Italia è ufficialmente partita una vera e propria “corsa alla diversificazione” delle fonti di approvvigionamento energetico, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza del nostro paese dalle importazioni russe. Il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, è stato impegnato lo scorso weekend in una due giorni diplomatica in Repubblica del Congo e in Angola, accompagnato dall’Ad di Eni, Claudio Descalzi. Nelle settimane precedenti, invece, il capo della diplomazia italiana era stato anche in Algeria. Obiettivo: aumentare il livello di partnership energetica per consentire all’Italia di uscire dalla tagliola del gas che Mosca potrebbe imporre in qualsiasi momento sulle nostre forniture (cosa che per il momento non ha fatto, dato che i proventi degli idrocarburi servono a finanziare la guerra in corso).
Il Tap, una delle fonti alternative rispetto all’approvvigionamento russo, è una sezione europea del più ampio corridoio meridionale del gas. La lunghezza totale del gasdotto è di 878 chilometri, di cui 550 in Grecia, 215 in Albania, 105 in mare aperto e 8 in Italia. Il tratto di costruzione offshore è posato a una profondità massima di 810 metri. La capacità iniziale del gasdotto è di 10 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, di cui 8 consegnati all’Italia, uno alla Grecia e uno alla Bulgaria.